di Giovanni Curatola
Essendo passato un solo quindicennio, tranne le nuovissime generazioni la maggior parte del popolo rosanero dei giorni nostri fu testimone dell’impetuosa cavalcata che nella stagione 2003-04 portò alla promozione in Serie A più a lungo attesa e più festosamente celebrata dell’ultrasecolare storia del Palermo. Ed eccezion fatta per la magica sera del trionfo, il 29 maggio contro la Triestina, sul nastro della memoria collettiva di quella stagione resta indelebilmente registrata la data del 4 aprile, domenica delle Palme e giorno del derby Palermo-Catania. Era la 36° giornata di un campionato atipico (24 squadre). A 11 giornate dalla fine, il traguardo era vicino (Palermo primo con 61 punti), ma con la classifica un po' corta sarebbero bastati un paio di passi falsi a compromettere tutto. Tanto più che il Catania, che di punti ne aveva 11 in meno dei rosa, era pur sempre a 4 punti dalla zona promozione, dunque anch’esso in piena lotta. Posta in palio e fascino del derby portarono quel giorno alla Favorita 36.000 anime (32.640 paganti, fra cui 1.200 tifosi etnei ben blindati e scortati nel settore ospiti) e coreografia d’eccezione nelle due curve e in gradinata.
Come sia finita è cosa ben nota: dominio continuo e incontrastato del Palermo per tutta la gara, condito da 5 reti con l’infernale frastuono e la òla dell’intero stadio a far da sottofondo. Schierati in campo col 4-4-1-1 tipico di quei mesi, i rosa mandarono in gol il difensore Biava, entrambi i fratelli Filippini (inesauribili stantuffi di centrocampo) e per due volte il capocannoniere della squadra e dell’intera categoria Luca Toni. Fra gli altri protagonisti di quel giorno ricordiamo Fabio Grosso (che neppure ipotizzava che due anni ancora e sarebbe diventato campione del mondo con la maglia azzurra), il capitano nonché faro del centrocampo Eugenio Corini, il trequartista Gasbarroni e l’istrionico e passionale guardiapali Gianluca Berti.
Tuttavia, di quel giorno in cui la squadra dovette per giunta fare a meno della classe dell’infortunato Lamberto Zauli, il sottoscritto serba inoltre 2 particolari ricordi: il primo, strettamente personale, riguarda la mia macchina fotografica. Fu quella l’ultima partita, dopo 16 anni di stadio, in cui feci foto dagli spalti con la tradizionale fotocamera a rullino. Irriducibile tradizionalista qual’ero (e resto), non mi ero ancora arreso all’era del digitale, anche perché la qualità delle prime digitali di allora non era certo quella di oggi. Fu proprio il clima d’entusiasmo nato da quella partita, e che con l’avvicinarsi della promozione portò tutta la città a tappezzarsi di rosa e di nero in quel modo stupefacente e irripetibile che ben ricordiamo e che lasciò a bocca aperta noi stessi prima ancora di giocatori e turisti, a indurmi ad anticipare il grande passo. Fotografare anche solo una piccola parte di tutta quell’orgia rosa con macchina a rullino sarebbe stato economicamente improponibile.
Altro ricordo di quel derby, fu una gratificazione che, senza saperlo, il tecnico Francesco Guidolin, diede quel giorno a me, tifoso di curva. Ancor più bello, forse, delle singole reti e del clima trionfale in cui mi trovavo immerso. Fu il gesto che gli vidi fare dalla panchina, ai suoi in campo, dopo il gol del 5-0. Il gesto inequivocabile di “stop”. Un invito insomma a chiuderla lì, a tirare i remi in barca per non umiliare oltremodo nei 20 minuti che ancora restavano da giocare un avversario totalmente in balìa nostra. Un gesto che, per giocatori e tifosi etnei in quell’occasione ma suppongo per chiunque avversario in qualunque gara, suoni da mortificazione più grande che subire altre reti. Insomma, quel giorno il Catania, oltre che sconfitto, finì anche compatito. Sono soddisfazioni...
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