UN POMERIGGIO D’AUTUNNO A MUNSINGEN
31 ottobre 2017
di Giovanni Curatola
Le tinte giallo-rosso-marroni dell’autunno, in quest’angolo di Svevia a sud-est di Stoccarda, sono date come ogni autunno dal colore delle foglie che spogliano i propri alberi per andare a tappezzare, cadendo, la terra circostante. Solo che qui la tonalità è ancora più vivace, il che rende l’impatto visivo più forte e il panorama più suggestivo. Mi ci immergo ad ora di pranzo di un venerdì di fine ottobre, dopo essere atterrato a Stoccarda dall’Italia e aver noleggiato ad hoc una piccola utilitaria che svolgerà dignitosamente il suo piccolo compito. La volgo verso Munsingen, cittadina di 15.000 anime a 60 km da qui.
Lì aveva sede uno dei campi di addestramento militare più grandi e più antichi di Germania: l’Altes Lager. Oggi è in parte chiuso, in parte riconvertito a campo di accoglienza profughi. Entro a Munsingen dopo 45 minuti d’auto (ore 13.50), di cui la prima metà di autostrada. Scopo della mia venuta qui è tornare a ritroso a 71 anni fa, quando (metà febbraio 1944), arrivarono in treno dall’Italia 20.000 alpini, che qui avrebbero costituito la divisione “Monterosa”, la prima e più grande unità militare regolare dalla Repubblica Sociale Italiana. La “Monterosa” sarà composta da quasi 4.000 soldati provenienti dal disciolto Regio Esercito e, per la parte restante, dalle reclute delle classi 1924 e 1925. A Munsingen, sotto la supervisione di istruttori tedeschi, armata ed equipaggiata dai tedeschi, la divisione trascorse 6 mesi di duro addestramento. La stazione è uno dei primi edifici che s’incontrano entrando in paese da ovest. E’ una graziosa struttura a un piano, con all’estremità una specie di torretta a tetto spiovente. Le finestre ornate di fiori, l’assenza di sporcizia per terra e di quelle orribili scritte che deturpano i muri delle nostre città ma che noi spacciamo per arte, e il basso tono con cui conversano i pochi passeggeri presenti, regalano quel magnifico senso di ordine, pulizia e rispetto altrui che mi fa amare la Germania. Tranne il colore delle pareti esterne (nel 1944 era verde scuro anziché giallo-ocra come oggi) la stazione è come allora. Scatto foto fra i binari, specie verso sinistra (direzione Ulm) da dove arrivarono le tradotte di alpini, quindi faccio fuori due panini e chiacchiero con un barbuto funzionario della DB (“Deutsche Bahn”, le ferrovie tedesche). O meglio, più che chiacchierare recepisco un decimo di quanto mi dice in lingua inglese. Mi sposto poi in centro. Carino. La piazza principale è circondata da case a graticcio e sormontata al centro da una di quelle classiche fontane esagonali con fiori sulla sommità che si trovano nei paesi alpini tedeschi, svizzeri e austriaci. Ho fretta di raggiungere il lager, così alle 15.05 prendo la strada che sale al “Truppenbungsplatz” e giungo al campo. Tranne un arco, oggi demolito, e le insegne direzionali, l’ingresso è rimasto tale e quale allora. La prima parte del campo presenta un vialone centrale ai cui lati si trovano le camerate più curate e accessoriate (costruzioni basse e lunghe in mattone rosso, ingressi con disimpegno in legno e vetro, infissi rossi all’interno e finestre a cupola con inglesine bianche ai vetri e ante esterne di legno verde). Un tempo destinate agli ufficiali (tedeschi, italiani o, nel dopoguerra, francesi che fossero...), ospitano oggi una quota di profughi siriani scappati da casa loro.
C’è poca gente. Il viale poi sale a quelle che erano le camerate delle truppe, più spartane, meno rifinite e intervallate tra loro da desolate strisce di terra. All’altezza dell’edificio delle Poste, che sfoggia una graziosa torretta a orologio e che oggi ospita il museo del campo, mi imbatto in una coppia di italiani che mi fa da interprete con due agenti di sicurezza. Il museo è chiuso, apre solo per i gruppi e su prenotazione. Imbroglio agli agenti di essere nipote di un alpino della “Monterosa” venuto a vedere i luoghi dove in cui si addestrò mio nonno, e mi indicano di giungere alla parte più alta del lager (dove alloggiavano le truppe italiane) uscendo dal Lager per rientrarvi da sopra, dopo averlo costeggiato da fuori per metà. Lì, in un capannone con all’interno generatori elettrici, dovrebbe esserci il custode del museo. Chiedere a lui. Detto, fatto. All’altezza del teatro per le truppe (c’è ancora la grossa insegna nera sull’edificio esterno al campo) entro nel cuore dell’area destinata ai nostri alpini. La prima baracca ha una grossa croce marrone dipinta sulla porta (doveva essere la cappella del campo). Lascio l’auto in una radura rettangolare con due porte di calcio (chissà, magari ai tempi qui c’erano altre porte e ci giocavano anche allora…) e zigzago a piedi fra i cippi e le camerate chiuse. Il senso di desolazione è acuito dalla totale solitudine, dal totale silenzio e dagli alberi semispogli. Sembra tutto immobile, sospeso, morto, ma la curiosità storica di immaginare scene passate nei luoghi attuali è tanta. Un contadino (o qualcosa di simile) mi indica l’edificio degli impianti elettrici e lì in effetti trovo un gruppetto di persone in tuta da lavoro. Tra loro, il custode del museo, un certo sig.Norbert Hermann. Essendo il museo chiuso, esibirgli la tessera di giornalista servirebbe a poco. Gioco dunque di nuovo la carta del sentimentalismo e ripropongo la bugia del nipote dell’alpino detta ai poliziotti un’ora prima. La carta si rivelerà vincente. Ma ancor più lo sarà, per una completa visita del campo, l’incontro con quest’uomo gentilissimo sulla sessantina. Con la sua macchina usciamo dal Lager da una cancellata in alto e saliamo per un chilometro, fino alla spianata di Gansewag. Qui la “Monterosa” concluse l’addestramento ricevendo la visita di Mussolini in persona, che parlò alla divisione prima del suo rientro in Italia. Per la prima e unica volta al completo, i 19.952 uomini della “Monterosa” si schierarono in questa spianata il pomeriggio del 16 luglio 1944. Alle 16.45, Mussolini e altri vertici militari italo-tedeschi passarono in rassegna l’intera divisione, schierata da un punto all’altro della piana. Per riprendere quanto più possibile dell’immenso schieramento, fu necessaria la congiunzione di 3 fotografie scattate in successione. Terminata la rivista, da un podio di legno sito sulla collinetta che domina la piana dove ora sono col sig.Hermann, Mussolini parlò alla divisione. Le ricordò che si trattava della prima unità militare che tornava in patria. Una patria tradita e parzialmente invasa dal nemico, ma che considerava questi alpini la pietra angolare del rinato esercito repubblicano, gli uomini migliori su cui puntare per il riscatto, grazie anche al severo addestramento ricevuto lì in Germania. Mi sembra di rivederli schierati qui davanti i 20.000 alpini, in questa spianata sottostante vuota che anche a me è impossibile fotografare interamente se non con più scatti in successione. Al termine del discorso, il Duce consegnò le bandiere ai reggimenti e tornò al Lager, dove alle 19.30 tenne a rapporto gli ufficiali dicendo loro che i popoli che non sono liberi di portare armi proprie, diventano inevitabilmente schiavi perché obbligati a portare le armi degli altri. Quindi consumò il rancio con la truppa e ripartì per far visita alle altre 3 divisioni che si stavano addestrando in Germania (la “Littorio” a Heidelberg, la “S.Marco” a Grafenwhor e l’”Italia“ a Paderborn). Quella notte stessa, su 37 convogli ferroviari, iniziò il rientro degli alpini in Italia. Schierata in Liguria, la “Monterosa” avrà 1.100 caduti, perlopiù in imboscate dei partigiani che operavano alle spalle della divisione. Delle grandi unità dell’esercito della R.S.I., la “Monterosa” sarà l’unica a riuscire a infliggere una severa sconfitta agli anglo-americani, facendoli arretrare per 20 km in Garfagnana (26-28 dicembre 1944). Sarà infine un reparto della “Monterosa” (12° batteria del Gruppo Artiglieria Alpina “Mantova”) l’ultimo in assoluto della R.S.I. a deporre le armi, l’8 maggio 1945, a Porta Littoria (oggi La Thuile, Val d’Aosta). Ritornati giù al campo, il sig.Hermann mi apre il museo dove velocemente “divoro” armi, divise, mappe, foto, targhe e altri cimeli, fra cui un mortaio e due pezzi anticarro. Mi spalanca poi una camerata destinata alle truppe francesi nel dopoguerra. Altro che gruppi su prenotazione! Godo di visita guidata in esclusiva, anche se recepisco solo una minima parte delle mille informazioni che l’inesauribile custode mi scaraventa addosso. Sono le 17.00 quando, col cielo che dal bianco inizia a volgere verso le più rosse tonalità del tramonto, lascio il Lager direzione aeroporto di Stoccarda, per riconsegnare l’auto e incontrare l’amico Francesco. In macchina ripenso soddisfatto alla disponibilità di questo custode, che prima di lasciarmi mi ha fatto pure dono di una mappa militare del campo. Aufwiedershen, herr Hermann...
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News » LUOGHI DELLA MEMORIA | martedì 31 ottobre 2017
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