di Giovanni Curatola
Intrupparsi indifferente, quasi di malavoglia, tra la folla di uno stadio e tornare a casa soddisfatto per quanto vissuto, ben oltre le più rosee aspettative. E’ accaduto ieri sera al Velodromo “Borsellino”, dove chi scrive ha anche capito che non sono solo i televideo e i siti dell’ora esatta i riferimenti per chi deve regolare il suo orologio. Ci sono anche i concerti di Claudio Baglioni. Che iniziano rigorosamente all’ora prefissata e rispettano la corposissima scaletta senza che nessun brano sgarri di un solo minuto-secondo. E dove l’effetto sorpresa, che viene dunque meno, è più che controbilanciato da incantevoli scenografie e giochi di luce, quelli si, che non t’aspetti.
Un fondale perfetto per un giovanotto di 70 e passa primavere che canta, suona, balle e saltella come un teenager, e che solo fra due delle canzoni finali si concede un sorso d’acqua. Un giovanotto che dimostra gran rispetto del suo pubblico (“popolo di santi, poeti, artisti e navigatori”: l’ANPI insorgerà?) senza mai cercare di arruffianarlo o di accenderlo con stupide retoriche. Un giovanotto elegante, impeccabile nella sua voce e nei suoi rapidi cambi di giacca fra un brano e un altro, che contrariamente a qualche suo collega non si illude con le sue canzoni di cambiare il mondo, dove “non potendo far molto per diminuire le cose brutte, possiamo quantomeno cercare di aumentare quelle belle”. Concetto lineare, semplice, che nella sua brevità vale più di lunghe omelie (ai monologhi preferisce sempre il suo suono e la sua voce: lui l’ha perfettamente capito, altri un po' meno) e pronunciato poco prima di “beccarsi”, mostrando però di gradirla, una sciarpa rosanero dagli spalti. Colore su colore.
Chi, nel ruolo di marito/accompagnatore inevitabilmente meno informato della sua donna, che invece di Baglioni conosce già tutto o comunque più di lui, si appresta stasera a vivere la terza e ultima data palermitana del tour del cantautore romano, metta dunque in conto tre-ore-tre di musica densa e coinvolgente, che spazia senza un ordine apparente dal ’68 ad oggi investendo almeno tre generazioni. Musica autentica, d’autore, testi profondi al limite del poetico messi in note che contagiano anche chi, come il sottoscritto, ne conosceva si e no il 30%, o forse anche meno. E che confermano, semmai ce ne fosse ancora bisogno (ma non ce n’è affatto), come gli anni ’70/’80 siano stati il periodo qualitativamente migliore non solo del pallone, della tivvù, del cinema e dell’editoria, ma anche e soprattutto della musica italiana.
Vecchi suoni che la risacca del tempo ha nuovamente portato a riva, riportandoci giovanissimi e facendoci considerare questa fresca serata di metà ottobre al “Velodromo” un vero e proprio “affare”. Emotivo. Ed anche materiale, per i soldi spesi da chi, nelle stesse ore, ha dovuto lasciare i figli a una baby-sitter…
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