di Giovanni Curatola
Vite eccezionali, legate alla musica, e al contempo testimoni di un secolo. Ebbe incarichi e premi canori da Stalin, da Brežnev, infine da Putin, che lo rispolverò 87enne per lo stesso motivo dei due precedenti. Parliamo di Sergej Michalkov, nato a Mosca nel 1913 da famiglia aristocratica e, paradossalmente, ricordato ancor oggi in Russia più per la sua attività di poeta e scrittore sovietico che per essere l’uomo destinato a comporre, in epoche diverse, quello che fu, è e (molto probabilmente) resterà l’inno nazionale più solenne e trascinante (in una parola: più bello) del pianeta. In piena guerra mondiale, nel 1942, si impose all’attenzione di Stalin, che gli commissionò di scrivere il testo del nuovo inno nazionale, in linea con la svolta nazionalista da lui imposta all’U.R.S.S. (“socialismo in un solo paese”).
Così, per mandare in soffitta “L’Internazionale”, l’inno sovietico voluto dal suo predecessore Lenin, Stalin indisse nel 1943 un concorso per il testo del nuovo inno nazionale, di cui lo stesso dittatore aveva già scelto la musica: quella dell’inno del partito bolscevico, composto qualche anno prima da Alexander Alexandrov. Su una sessantina di concorrenti, Stalin in persona premiò Sergej Michalkov, scegliendone il testo. Il nuovo inno dell’U.R.S.S. entrò in vigore il 1° gennaio 1944, e sopravvisse alla morte del dittatore e alla parziale destalinizzazione sotto Krusciov.
Per 22 anni (1955-77), l’inno sovietico fu così sempre eseguito senza il testo di Michalkov. Sarà poi il premier Brežnev, nel 1977, a farne riscrivere in occasione della promulgazione della nuova Costituzione il testo all’autore originario, adesso 64enne e divenuto, intanto, uno fra i più affermati e graditi poeti di regime, nonché autore di favole e filastrocche che milioni di bambini russi studiavano e imparavano a scuola. Michalkov eliminò dal testo ogni riferimento a Stalin (quelli a Lenin potevano essere mantenuti), sicché col nuovo testo e la musica di sempre, l’inno sovietico rimase in vigore fino alla caduta dell'URSS (1991). Il nuovo Presidente russo, Boris El'cin, si sbarazzò subito, tra varie cose, anche del vecchio inno sovietico, sostituendolo con un vecchio motivo solo strumentale, imposto ma mai veramente amato dai russi (“Patrioticheskaya Pesnya”, detta anche “canzone patriottica”). Tutto ciò in attesa che un’apposita Commissione indicesse un concorso per un nuovo inno russo, e che esaminasse le oltre 6.000 proposte pervenute. Nessuna fu, alla fine, ritenuta all’altezza di diventare il nuovo inno.
Quando (e siamo già nel 2000) Vladimir Putin successe a El'cin, tra le molte azioni simboliche reintrodotte dal passato sovietico ci fu il rispolvero della musica del vecchio inno sovietico. Fu indetto un nuovo concorso per il testo, e alla fine fu ancora scelto quello (nuovo) di Sergej Mikhalkov, ormai un 87enne in pensione. Cogliendo ancora una volta lo spirito del tempo, a 60 anni di distanza dal primo inno, compaiono nel testo riferimenti religiosi, impensabili nell’era comunista, e la Russia diventa “lo Stato benedetto” e “la nostra cara patria conservata da Dio”. L’inno (quello, dunque, attuale) fu adottato il 1° gennaio del 2001.
Gli ultimi anni della sua vita Michalkov li trascorse nella sua Mosca, dov’era nato e dov’era sempre vissuto. Per il suo 90º compleanno, nel 2003, ricevette nella sua abitazione la visita di Putin, che lo insignì della medaglia di 2° classe “Ordine di Servizio alla Madrepatria” per il suo contributo alla cultura russa. Due anni dopo (2005), sempre Putin insignì il 92enne Michalkov dell’“Ordine di Sant’Andrea”, la più alta onorificenza della Federazione Russa. Alla sua morte (27 agosto 2009, a 96 anni) avrà un funerale di Stato e verrà sepolto coi massimi onori militari.
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