Una sera d’estate in compagnia di Turandot

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Una sera d’estate in compagnia di Turandot

2024 Arena di Verona Italian Opera Festival 

di Giovanni Schiavo

Foto https://www.arena.it/arena-opera-festival/turandot/

Video https://youtu.be/I0VXIbiVhRY?si=CvKtUYE51DybLgbI

Premetto che non sono un appassionato di opera lirica, ma in occasione del centenario della scomparsa del compositore Giacomo Puccini, avvenuta il 29 Novembre 1924, ho deciso di recarmi a Verona per assistere alla rappresentazione dell’opera Turandot.

Turandot è l’ultima opera composta da Puccini, che per la precisione non riuscì a terminarla a causa della morte causata dai postumi di una delicatissima operazione chirurgica cui si era sottoposto per cercare di guarire da un tumore all’esofago, contratto molto probabilmente a causa del suo accanimento nel fumare un po' di tutto: pipa, sigari toscani e sigarette.

Puccini è il compositore del nuovo secolo, il ‘900, che il grande predecessore, il compositore Giuseppe Verdi vide solo affacciarsi (morì nel 1901).                               

Nelle sue opere le protagoniste sono eroine, devote all’amato e all’amore che provano per lui, ma tormentate dai sensi di colpa e pronte al sacrificio. Puccini è attento a musicare storie che hanno una ambientazione anche in periodi storici più vicini al pubblico dell’epoca.

In Turandot si cimenta con il tema della fiaba, del mistero. La storia in breve: in una Pechino di molti secoli fa, alla corte dell’imperatore della Cina, vive la bella e tirannica principessa Turandot che, dovendosi sposare per dovere dinastico. ma non avendo nessuna intenzione di farlo, sottomette i pretendenti alla sua mano al “gioco” dei tre indovinelli da lei proposti.

Chi li indovinerà tutti e tre sarà il suo sposo e regnerà con lei sull’impero della Cina, ma chi fallirà anche solo una risposta verrà decapitato seduta stante.

E infatti l’opera inizia con la decapitazione del principe di Persia che ha tentato la sfida ma ha fallito.

A questa esecuzione partecipa anche Calaf, principe tartaro, suo padre Timur e la schiava Liù, innamorata segretamente di Calaf. Quest’ultimo vede per la prima volata in questa occasione Turandot e si innamora di lei pazzamente; decide seduta stante di provare il “gioco” dei tre indovinelli malgrado un po' tutti lo dissuadano dal farlo. Il colpo di scena avviene quando Calaf riesce a risolvere i quesiti ma a quel punto è la principessa che non vuole tenere fede alla sua promessa di sposare il vincitore.

Allora Calaf le propone un indovinello: se lo risolverà la libererà dalla promessa e lui verrà ucciso come i precedenti contendenti. Il quesito è molto semplice: qual è il suo nome.

La principessa vuole vincere a tutti i costi e per questo mette tutta la citt+ di Pechino a ferro e fuoco per scoprire il nome del pretendente fino a torturare il di lui padre Timur e la sua schiava Liù, che in un gesto di testimonianza di cosa l’amore può far fare, si suicida, davanti a Turandot, pur di non rivelare il nome del principe che lei ama segretamente.

L’opera finirebbe qui perché Puccini muore e il finale non era ancora composto, ma, su richiesta dell’impresario Ricordi che aveva commissionato l’opera, e con la supervisione del direttore di orchestra Arturo Toscanini, il maestro Franco Alfano si incarica di comporre il finale, che stilisticamente si nota per la sua semplicità, sia nello sciogliere la trama con un happy end, sia nella semplicità della costruzione musicale.

Ma così è.

La rappresentazione scaligera si è avvalsa del sontuoso allestimento creato nel 2010 da Franco Zeffirelli, con un grande muro, ispirato a quello dei nove draghi della Città Proibita di Pechino, che divide in due il palcoscenico: da una parte il popolo e lo svolgimento delle parti più drammatiche (decapitazione, tortura e suicidio di Liù) e dall’altra il palazzo dorato dell’imperatore per le scene auliche, scioglimento degli enigmi e scena finale.

Un’ottima esperienza, che è stata godibile anche da me neofita, che ha assistito con curiosità al racconto in note di una favola nera, ma con musiche che trasfiguravano il dramma in atto in un’epica, mitologica visione.

Ultimo, ma non ultimo: in questa opera è cantata l’aria “All’alba vincerò” che è diventata la colonna sonora di molti servizi televisivi relativi a vittorie sportive degli atleti italiani, che sicuramente ognuno di noi ha sentito e forse anche tentato di cantare, con dubbi risultati, ma pensando di essere Pavarotti. Va bene lo stesso, se la cosa ci ha fatto piacere, se ci ha reso felici.

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