Lissa e Premuda: la Marina italiana all’opera

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Lissa e Premuda: la Marina italiana all’opera

di Giovanni Curatola

“…Come a Lissa, così a Premuda, pugneremo a spada nuda. Sui leoni l’abbiam giurato: tutti eterna libertà…”. In questo verso (seconda strofa dell’attuale “Inno dei Lagunari”, ex “Inno del Battaglione S.Marco”) c’è l’alfa e l’omega, la polvere e l’altare, la vergogna e la gloria di mezzo secolo della Marina italiana: dalla III Guerra d’Indipendenza (1866) alla Grande Guerra (1918). Con immancabile riferimento al leone alato di S.Marco, il simbolo di quella Repubblica di Venezia un tempo padrona di quella sponda orientale dell’Adriatico, oggi croata, costellata da centinaia di isole fra cui, appunto, Lissa e Premuda. Le due isole, distanti fra loro una sessantina di nodi (circa 100 km) in momenti diversi hanno dunque simboleggiato il peggio (potremmo definire Lissa, oggi Vis, la nostra… Caporetto navale ante litteram) e il meglio (Premuda come… Vittorio Veneto) della flotta navale italiana nei 52 anni presi in esame. Procediamo per ordine.

LISSA

Nel 1866, oltre al Lazio (Roma inclusa) e al Trentino, all’unità territoriale del giovane Regno d’Italia mancano ancora il Veneto e il Friuli. L’occasione per inglobare questi ultimi si palesa con lo scoppio, proprio quell’anno, della guerra franco-prussiana. Con la naturalezza che gli è propria (la cosiddetta politica dei ”giri di valzer” che tanto biasimo già provoca loro nei salotti europei) , i Savoia “mollano” la Francia, alleata di cui si sono serviti nella precedente guerra d’indipendenza per accaparrarsi la Lombardia, e si uniscono ora alla Prussia. Proprio il successo di quest’ultima contro i francesi permetterà all’Italia, nonostante le sonore batoste una terrestre (a Custoza) e una navale (a Lissa), l’annessione di Veneto e Friuli. Tali territori, ceduti dalla Francia sconfitta alla Prussia, vengono poi “girati” da quest’ultima all’alleato italiano. Alla poco edificante nomea dei “giri di valzer” sopra accennata, si aggiunge adesso quella indecorosa di un paese che vince le guerre senza merito, grazie solo agli eserciti altrui. La battaglia di Lissa, dove la flotta italiana, superiore per uomini e mezzi, avrebbe dovuto infliggere un duro colpo a quella austriaca, si svolge il 20 luglio nelle acque a nord dell’isola, davanti la baia di Porto S.Giorgio e dura, di fatto, appena un’ora e mezza (10.30-12.00). Tanto è sufficiente alla più ridotta ma meglio coordinata flotta austriaca capitanata dall’ammiraglio Von Tegetthoff (18 unità, di cui 7 navi corazzate) per mettere in ginocchio quella italiana (29 unità, di cui 12 corazzate) agli ordini dell’ammiraglio Persano. La flotta italiana avrebbe dunque tutti i numeri per sbaragliare quella austriaca, ma gravi errori tattici uniti all’atteggiamento confuso, stanco e rinunciatario di molti suoi alti ufficiali la rendono inerme e alla facile mercé del nemico.

Quando l’Italia apprende la realtà dei fatti, compresa l’entità delle vittime (oltre 600, a fronte di una quarantina di marinai austriaci), l’indignazione è grande. Persano viene processato per codardia e alto tradimento. Le accuse, a fatica, alla fine cadono, ma gli restano riconosciute l’imperizia e la disobbedienza, che gli costano la condanna, la perdita del grado e la radiazione dai ruoli. Dal canto suo, Von Tegetthoff sintetizza in questa celebre frase il valore dei suoi, in rapporto all’insipienza dei ben più forti ed armati avversari italiani: “Oggi uomini di ferro su navi di legno hanno battuto uomini di legno su navi di ferro”. Parole dure ma ineccepibili.  

 

PREMUDA

Giugno 1918. Senza che ancora nessuno ne sia cosciente, è l’ultima estate di guerra. Le linee difensive italiane approntate in tutta fretta dopo Caporetto resistono sul Piave, si riorganizzano e, proprio in queste settimane, (cosiddetta “battaglia del solstizio”) si dissanguano contro di esse le ultime e più agguerrite forze austriache. Ma è sui mari della Dalmazia che si consuma l’atto più valoroso delle forze italiane, tanto che il 10 giugno (quando si è compiuto) è tutt’oggi festa per la Marina italiana. Atto temerario, spregiudicato, folle per certi versi ma per questo eroico, che non riporta nessuna perdita da parte italiana (14 invece marinai austriaci morti) e che con l’affondamento di una corazzata… e mezza austriaca fiacca definitivamente il morale della loro Marina, che da allora rinuncia a qualsiasi altra operazione navale, consentendo all’Italia il pieno possesso del Mar Adriatico.

L’impresa è firmata da due MAS (Motovedette Auto Siluranti) che al comando di Luigi Rizzo (ancor oggi il militare più decorato d’Italia) attendono nelle acque a Nord dell’isola di Premuda il grosso della flotta austriaca (convoglio di 51 unità fra corazzate, siluranti e torpediniere) in procinto di dirigersi ad Otranto. Avvistati alle 3 di notte del 10 giugno i navigli nemici, i MAS approfittano della luce ancora debole e incerta dirigendosi contro le unità austriache alla minima velocità. Il MAS di Rizzo riesce ad incunearsi fra le siluranti che fiancheggiano la corazzata “Szent István”, e giunto a 300 metri da essa le lancia entrambi i suoi siluri. Mortalmente colpito, il grosso naviglio austriaco resiste, sempre più inclinato, un paio d’ore, poi cola a picco. Superato lo shock , ancora attoniti e increduli di come due piccole unità italiane abbiano potuto osare tanto ed incunearsi in mezzo alla propria, potente flotta, gli austriaci delle torpediniere si lanciano all'inseguimento del MAS di Rizzo, che riesce a schivare il fuoco continuo da una distanza di 100/150 metri e mettersi in salvo. La stessa dinamica avviene per il MAS di Giuseppe Aonzo, che lanciati i suoi siluri contro l'altra unità maggiore austriaca, la “Tegetthoff” (curiosamente, la corazzata intitolata al vincitore di Lissa mezzo secolo prima, che non affonderà ma resterà seriamente danneggiata), è inseguito da due torpediniere

Distanziati i rispettivi inseguitori, i due MAS alle ore 07.00 raggiungono adesso indisturbati e vittoriosi il porto di Ancona. Rizzo ed Aonzo saranno insigniti della medaglia d’oro al valor militare, mentre la Marina inglese si congratulerà “per la splendida impresa condotta con tanto valore e tanta audacia”. Oggi il MAS di Rizzo è esposto sotto l’Altare della Patria, a Roma. Dal canto loro agli austriaci, vanificata l'intera loro operazione ad Otranto, non resta che rientrare mestamente alle loro basi. Il contraccolpo psicologico fiacca definitivamente il loro morale e fa prudentemente abbandonare loro ogni altra iniziativa sul mare fino alla fine della guerra.

I VERSI DI D’ANNUNZIO

La poesia che D’Annunzio scrisse nel 1918 per la beffa di Buccari, e riferita alle le isole del Carnaro (tratto di mare compreso tra la sponda orientale dell’Istria e le isole di Veglia (oggi KrK) e Cherso (Chers), è un sublime messaggio d’italianità che, per estensione geo-politica e affinità naturalistiche, oltre a quelle del Carnaro ricomprende anche le isole dalmate, Lissa e Premuda incluse.

Così, non è solo a Cherso, Veglia, Unie (Unje), Promontore (Kamenjak), Lussino (Losinj) e Levrera (Zeca) che “il lentisco, il lauro e il mirto fanno incenso” e “monta su per i valloni la fumèa di primavera”. Anche quelle di fronte Zara, Spalato e Ragusa (oggi Dubrovnik) sono per il Vate “isole di sasso che l’ulivo fa d’argento”, dove “dolce è ogni albero stento” e “ogni sasso arido è caro”. Ovunque, quindi, vi sia ancora, sbiadito ma imperituro, il sigillo del leone di S.Marco. E dove la nostra Marina ha scritto le pagine più disonorevoli e meritorie sopra descritte.

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