Baltico in bici, Russia che non fu...24/3/2025

Memoria per Baltico in bici, Russia che non fu...

Aggiungi il tuo ricordo al diario

Baltico in bici, Russia che non fu...24/3/2025

di Giovanni Curatola

Frombork (Polonia), 8 marzo 2025. Alle 10.35 partiamo in sella alle nostre bici per… la frontiera russa, 27 chilometri a nord-est. I primi 23 sono di pista ciclabile ora di terra, ora di cemento, ora di sabbia, ora di fango. Il tempo è ottimo, cielo grigiolino ma sostanzialmente limpido. Godiamo poi per lunghi tratti di un bel sole, che ci induce a togliere il maglione e restare col giubbotto aperto. Ci avevano detto di essere fortunati: in questo periodo solitamente quest'angolo di Polonia settentrionale (Pomerania) ha ancora neve, e benché il "generale inverno" sia ormai agli sgoccioli, le temperature di inizio marzo raramente superano i 4°. Stavolta siamo invece sugli 8°/10°, il che rende strade e piste ciclabili interamente transitabili e ormai prive del ghiaccio di appena una settimana addietro.    

Frombork, 3.000 anime, ex Frauenberg tedesca, è famosa per avervici vissuto Nicolò Copernico. I suoi resti sono conservati nella cattedrale del paese, pesantemente bombardata dagli inglesi durante l’ultima guerra mondiale, quando tutta la zona era tedesca prima di essere russificata nel 1945..   

 La prima tappa in bici dura un’ora esatta (10.35-11.35) e ci immerge nella vegetazione multicolore di queste latitudini. A sinistra abbiamo il Mar Baltico, ma gli alberi pur spogli ce lo negano alla vista. Ne sentiamo la brezza e il rumore dell’acqua. Filari di arbusti, erba, fieno e fango qua e là, qualche canale e fondo della pista ora cementato, ora in terra, ora di fieno e arbusti. Insomma, il giallo la fa da padrone. Quando il sentiero scompare, almeno in 3/4 occasioni, si procede a intuito, ma la direzione è quasi sempre giusta, e dopo un po' riprende il sentiero o il cemento.

Rozaniec, 7 chilometri e mezzo a nord di Frombork, è un piccolo agglomerato di case, un alberghetto e una locanda, nulla di più che valga una sosta. C’è però la vista del mare, o meglio, della laguna della Vistola. Dieci minuti dopo si riprende il cammino, per altri 6 chilometri sempre direzione nord. E sempre senza incontrare anima viva, se non qualche rado ciclista o qualche pescatore canna in mano. Il tratto che precede l’arrivo a Nowa Pasleka costeggia l’acqua, con un gradito corollario alla nostra sinistra di boe, motoscafi, uccelli e qualche raro esemplare di fauna marina che spezza la monotonia.  A Nowa Pasleka, piccolo villaggio di pescatori, dopo una breve pausa di 10 minuti e l’attraversamento di un piccolo ponte in ferro si lascia la vista della laguna per addentrarsi ad est, verso l’entroterra. Il confine russo, in linea d’aria, è solo un chilometro più a nord da qui ma, anche a voler dare una sbirciata, nessuna strada o pista da questo punto può arrivarci.

Ci aspettano ora quasi 8 chilometri zigzagando, oltre i soliti campi di fieno, ora anche quelli di grano misti ad erba sterpaglia varia. II diversivo è qui una postazione di guardia in legno, al ciglio della strada, in mezzo a quest’oasi gialla. Tornare per un attimo bambini equivale a salirci rapidamente sopra e scattare una foto con sciarpa rosanero ben spiegata. Qualche chilometro più avanti la pista cementata (i cui lastroni fanno puntualmente sobbalzare dalla sella) cede alla sabbia, che per fortuna è compatta e permette un’avanzata regolareo. La parte più impegnativa del percorso giunge poco prima del minuscolo abitato di Zgoda (sono le 12.40), quando vari e lunghi tratti di fango e acquitrino ci costringono a varie acrobazie per non cadere o affondarci dentro. Per qualche tratto (breve, per fortuna) preferiamo scendere dalla sella e trasportare le bici a mano, col risultato sì di non cadere, ma al prezzo di immergere inevitabilmente nel fango tutte le scarpe fino alle caviglie. Superata Zgoda, la pista torna in cemento.

Ma un altro, ben più minaccioso imprevisto, ci attende alle 13 in punto: due poliziotte polacche di confine che ci vengono incontro, nella pista stretta fangosa di questa landa grande e desolata, con la loro “Fiat Panda”. Deserto intorno: solo noi due e la loro macchina. Scene surreali, sembrate quasi uscite da un film. Col senno di poi, concorderò con l’amico che con queste due poliziotte siamo stati fin troppo educati e corretti, ma evitare polemiche e lungaggini che ci si possano ritorcere contro è stato l’obiettivo primario. Ci chiedono di tutto: dove andiamo? Perché siamo in quella zona di confine? Da dove veniamo? Che lavoro facciamo? Dove alloggiamo? E, anche lì: perché? Come? Quando? Un quarto d’ora per controllarci i documenti, per fotografarci le suole delle scarpe, per ispezionare le bici e finanche l'ultima foto fatta coi nostri cellulari (??) e per metterci in guardia dal fare foto qualora dovessimo avvicinarci alla frontiera. Un trattamento, insomma, da delinquenti, che non ci va giù. Ma c’è di peggio: stando alle loro notizie, la vicina frontiera di Gronowo sarebbe chiusa, quantomeno dal versante russo. Sfumerebbe così l'ipotesi di una sbirciatina in terra russa, magari fino a Mamonovo, paese 5 km oltre la barra di frontiera (a 52 km ci sarebbe addirittura Kaliningrad, l'ex Koenigsberg prussiana: un'ambizione che però già eravamo rassegnati a dover rimandare) 

Rispondiamo rassegnati che a questo punto scenderemo a Braniewo (centro più importante della zona) per mangiare qualcosa, visto che è ora di pranzo. Manca appena un chilometro al punto in cui la ciclabile si congiunge, perpendicolarmente alla “strada nazionale” n.54 che, a sinistra, sale alla frontiera e a destra scende a Braniewo (6 km e mezzo). Sono le 13.25, ed ecco il bivio. Avevamo detto alle guardie che avremmo girato a destra, così senza, neanche bisogno di consultarci, puntiamo decisi le nostre bici a sinistra. Giunti in vista della frontiera, che fotografo furtivamente da lontano, parlamentiamo con la guardia polacca (maschio, stavolta). Sappiamo di non aspettarci altro che la conferma di quanto dettoci dalle sue colleghe in macchina, ma facendo leva sul fatto che questa frontiera su internet è segnalata aperta e nessuno qui in Polonia ci ha segnalato (o voluto segnalare) sino a poco fa il contrario, chiediamo di parlare con le guardie russe, pochi metri più avanti. D’altronde, la frontiera è chiusa lato Russia, non lato Polonia, no? Il tizio si sta quasi convincendo, porta i miei documenti alle guardie russe, che lo controllano facendogli segno che per loro sono ok, visto incluso. Posso si entrare tranquillamente in Russia, ma non da qui: dal prossimo valico, il “Gzcechotki-Mamonovo II”, poco più di una ventina di chilometri ad est. Arrivano frattanto, con la loro “Panda”, le due poliziotte di pocanzi. Si stupiscono di trovarci lì, ma non fanno questioni e anch’esse, poi, ci indicano quel valico, dicendoci però che è a 50 km. Non sanno però se in bici è transitabile o meno (secondo noi lo sanno benissimo). Capita l’antifona, e consci che scegliere il percorso più paesaggistico e più vicino al mare non ha alla fine pagato, in quanto giocoforza legato a questa frontiera qui, non perdiamo altro tempo e, rassegnati, alle 14.00 ci rimettiamo in sella verso Braniewo, 8 chilometri e mezzo più a sud. La fame ci fa coprire la distanza in 20 minuti appena.

La cittadina (Braunsberg, in tedesco) conta sui 18.000 abitanti, ha ben poco di storico nonostante sia stata teatro di scontri fra tedeschi e Armata Rossa nel 1945, e ci appare un grosso ma modesto paese sonnolento. Pranziamo in due riprese in altrettanti locali (chiamiamoli generosamente così...), quindi alle 15.25, dalla rotatoria centrale della città prendiamo l’arteria di destra, la strada per Frombork. Concordiamo infatti di lasciare le bici (dovendole riconsegnare tassativamente in giornata, fra andata e ritorno non ce la faremmo) e portarci comunque, in macchina stavolta, alla frontiera indicataci poco prima dalle guardie polacche: Gzcechotki. Frattanto, un paio di chilometri dopo aver lasciato Braniewo, il fuori programma che non t’aspetti si materializza stavolta in un cimitero sovietico alla nostra sinistra. Tombe, lapidi e monumenti simmetricamente disposti sull’erba. Lo visitiamo velocemente, poi dopo un quarto d’ora riprendiamo la strada (o meglio, la pista ciclabile che corre parallela alla strada) e in una mezzoretta scarsa siamo all’hotel da dove eravamo partiti stamattina. Dopo 49 chilometri di onorato servizio, le bici sono riconsegnate. Parecchio infangate, ma le accettano senza applicarci alcun sovrapprezzo. E' mancata a quest'esperienza la ciliegina dell'ingresso in Russia. Non avrebbe certo contribuito alla distensione fra i due paesi, ma a livello individuale avrebbe aggiunto, soprattutto in questo delicato momento internazionale, ulteriore fascino ed epicità alla biciclettata. La quale, pur senza ciliegina, è rimasta pur sempre una gustosissima torta.

© RIPRODUZIONE RISERVATA copyright www.ilgiornaledelricordo.it

Aggiungi il tuo ricordo al diario


Il Giornale del Ricordo

Scrivi il tuo ricordo