di Anna Scassillo
Il signor Domenico, come lo chiamavano tutti in città, era decisamente un tipo particolare. Indossava sempre abiti eleganti. Ogni tanto consunti, come la giacca a quadretti, quella marrone di tessuto buono, oramai invecchiata con gli anni. Quella che aveva messo al matrimonio della sua prima figlia, Giuseppina, e che con il tempo aveva imparato a considerare l’abito da festa. Quando camminava per la strada nessuno risparmiava di salutare il simpatico vecchietto che, pur non avendone bisogno, camminava col bastone. Era sempre in giro, sperando di incontrare qualche amico di vecchia data e amava le giornatedi sole. Nessuno avrebbe potuto rubare il sorriso malconcio che da sempre padroneggiava sul suo volto. Il suo cappello scuro era inconfondibile, così come i suoi occhiali dalla grossa montatura. Mio zio Domenico era benvoluto da tutti e lo sapeva, ma non ha mai dato l’affetto di nessuno per scontato. Dolce con chiunque, ricordo che certe volte offriva caffè di continuo, specialmente a chi era meno benestante e solo perché si sentiva felice, mai per dimostrare qualcosa. Quando pioveva non usciva mai. Nemmeno quando il cielo era solo coperto dalle nuvole. Diceva che lo rendeva triste e che non sarebbe stato capace di sopportare quel grigiore, preferiva starsene a casa e leggere qualche libro ingiallito. Leggeva tanto, ma sempre gli stessi libri, che con il tempo smetteva di ricordare. Si sforzava sempre di più a leggere le piccole lettere stampate, troppo piccole per i suoi occhi, nonostante gli occhiali dalla montatura grossa. Si immergeva nelle storie dei più grandi scrittori italiani del secolo scorso e ogni tanto, quando ero piccola, gli piaceva raccontarmi le stesse storie come se fossero fiabe. La televisione in casa sua non era mai accesa, perché diceva che mangiasse i cervelli. E aveva proprio ragione. Aveva avuto una vita veramente movimentata, fatta di lavori saltuari, esperienze e amicizie forti. Non stava mai fermo, nonostantela sua età, era sempre alla ricerca di qualcosa da fare. Stava sempre a riparare o a riverniciare la sua piccola casa che sapeva di legno e di carta, con una cura sensazionale. Aveva la stessa cura per qualsiasi cosa facesse, dalla più semplice alla più complessa. Quando parlava, quando consolava o ascoltava, era sempre attento a non perdersi nessun particolare perché, nonostante la sua solita allegria, mio zio Domenico era una persona profondissima. Pensava sempre che fosse troppo giovane per andar via, dopotutto <<ho solo ottantacinque anni!>>. Eppure toccò anche a lui, come tocca a tutti, ma nessuno lo ha dimenticato e per le strade di quella piccola contrada in provincia di Napoli si finisce sempre per sorridere del suo ricordo.
Domenico Vitiello, Torre del Greco 23/02/1928 - Torre del Greco 3/05/2013
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