di Mariangela Mombelli
Un altro Festival di Sanremo incombe sui nostri teleschermi: serate di canzoni più o meno orecchiabili, più o meno ricche di significato, più o meno meritevoli di vincere attendono gli italiani, oggi sicuramente meno coinvolti dalla kermesse nazional-popolare nata sessantasette anni fa. Ma, per i cantanti che vi prendono parte.. Sanremo è Sanremo, oggi come allora. Così era per Luigi Tenco che partecipò all’edizione del 1967 con la canzone “Ciao amore ciao”, consapevole di non appartenere a quella melassa sottoculturale uscita fino ad allora da Sanremo contro cui Tenco combatteva. Per presentare la sua stessa canzone era dovuto a scendere a qualche compromesso: il testo della canzone inizialmente era più duro, antimilitarista. “Ciao amore ciao” fu eliminata, Tenco si suicidò la notte stessa dell’eliminazione lasciando la spiegazione del suo gesto in un inequivocabile biglietto d’addio: <<Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda Io, tu e le rose in finale… Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi>>. Tenco, piemontese per nascita, apparteneva a quella che veniva definita, un po' in maniera impropria, “scuola dei cantautori genovesi”, perché non di scuola si trattava, ma dell’essersi ritrovati insieme, tra le strade e i bar del quartiere Foce di Genova, di cantanti e cantautori dall’impegno non soltanto squisitamente musicale come Gino Paoli, Fabrizio De André, Bruno Lauzi, Luigi Tenco e del grande poeta e paroliere Riccardo Mannerini, personalità inspiegabili senza Genova, il suo porto, la sua conformazione urbanistica, i suoi sapori e i suoi odori. Del suicidio di Tenco si è detto tutto: sembrava impossibile che uno come lui potesse aver deciso di togliersi la vita dopo essere stato bocciato al Festival. Troppo poco, troppo banale. Tanta imperizia e tanti errori commessi nell’indagine hanno alimentato negli anni il beneficio del dubbio su una morte inspiegabile. Lo stesso Gino Paoli, che nel corso degli anni si è sempre impegnato per preservarne la memoria nel modo più rispettoso, non ha mai creduto al suicidio di Tenco, decretato dal frettoloso referto della polizia guidata dal commissario Molinari iscritto alla loggia massonica P2. Nel 1968 Fabrizio De André, in un articolo di critica musicale a margine dell’edizione del Festival di quell’anno così ricorda la morte dell’amico e collega: <<Speriamo che il gesto disperato di Tenco sia servito a qualcosa, abbia finalmente aperto gli occhi alla gente. Abbia insegnato agli italiani, cioè, che c’è un altro tipo di canzone, ben più importante delle insulsaggini da balera suburbana a cui troppo frequentemente si rivolge l’industria della musica leggera>>. A distanza di anni, all’alba di un nuovo Sanremo, sappiamo che la musica leggera continua a essere musica di consumo, “leggera” appunto, che nasce per essere divulgata e diffusa tra le masse popolari. Ma sappiamo anche che quei “quattro amici al bar”, tra cui Luigi Tenco, ci hanno lasciato un’eredità di parole e musica autenticamente popolari perché hanno rappresentato e continuano a rappresentare un “pensiero cantato”.
Luigi Tenco, Cassine (AL) 21 Marzo 1938 - Sanremo (IM) 27 Gennaio 1967
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