India anno zero: la gente20/1/2019

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India anno zero: la gente20/1/2019

Foto, testo e video di Adriana Saja

La compagna di Prem,  Ananda, belga di origine, è molto diversa.  Umile e dimessa, chiusa di carattere, difficilmente prende posizione. Mi fece subito simpatia, ma non apprezzavo affatto una certa sua subordinazione a Prem. Una cosa che mi colpì moltissimo è che lei spesso, quasi sempre, nel comunicare usava il plurale. Parlava sempre a nome di entrambi. Mi sembravano più una coppia che vive in simbiosi, che due persone libere che si amano certo, ma senza perdere lei la sua autonomia e indipendenza. Mi chiedevo, vedendoli sempre perennemente insieme, come mai non sentissero il bisogno di stare, ogni tanto, ciascuno da solo. Pur tuttavia il dialogo era interessante e gli spunti di riflessione che mi suggeriva stimolanti. E poi fu gentilissima nel prestarmi di sua iniziativa un libro bellissimo di Murakami, che non avevo letto ma di cui avevo sentito parlare e che mi piacque poi moltissimo. Norwegian Wood. Ma sia mai contraddire il suo uomo! Anche quando io e lui litigavamo, lei restava muta e non si esprimeva, senza dire la sua. Tranne una volta, ma eravamo da sole. Mi dette ragione e questo non mi fece affatto piacere, perché appunto avveniva in privato. Mi svelò alcuni aspetti del carattere di Prem che nemmeno lei amava. La sua cocciutaggine al limite della ragionevolezza e del buon senso. Il suo sentirsi come pressato da una semplice richiesta di aiuto o dall’espressione di un desiderio. Ma mi faceva tenerezza, proprio perché incapace di liberarsi dal giogo dell’oppressione di ciò che si crede sia l’amore, ma che amore per me non è. Non si può rinunciare alla propria autonomia, mai. Anche se per paura della solitudine, o chissà quale altra ragione, il rispetto di se stessi impone, io credo, di mantenere sempre la propria indipendenza e identità di persona libera. Ma io non faccio testo. Sono atipica come donna. Eppoi non sono fatta per stare insieme ad un uomo, o peggio ancora, per il matrimonio. Considero gli uomini ancora troppo poco evoluti e ho perso la stima affettiva nei loro confronti. A torto o ragione non so. Ma così sento. 

Willy, l’inglese

Di fronte al nostro tavolo nel ristorante di Bhagavan sedeva un uomo che all’inizio scambiai per il gestore del locale, anche se non era evidentemente indiano. Abbandonati Prem e Amanda,  misedetti con lui per chiacchierare e chiedere informazioni su come poter andare in città a cambiare il denaro che mi servivaurgentemente. Fu un incontro molto bello ed interessante. La sua disponibilità mi apparve, forse per contrasto, estremamente gratificante. Si offrì di accompagnarmi l’indomani mattina a Gokarna e persino poi a Goa, dove dovevo nuovamente recarmi per ritirare la famosa valigia. Inglese di cittadinanza, ogni anno viene qui in India per soggiornarvi diversi mesi. Chiacchierammo per tutta la serata, bevendo birra e fumando. Non sapevo ancora che si sarebbe rivelato solo un amico a tempo determinato. Ma all’inizio io  gli credetti. Willy, questo il suo nome,  si dimostrava molto affabile e gentile, quasi si prendesse cura di me e decisamente molto accogliente. Era proprio ciò di cui avevo bisogno, essendo appena arrivata e per la prima volta in un posto nuovo e sconosciuto. Ci salutammo a tarda notte dandoci appuntamento per l’indomani mattina e mi accompagnò persino a casa, quasi con un senso di protezione che stranamente non mi dispiacque. Ero davvero contenta e insieme sorpresa, essendo cosa strana per me ricevere così tanta cortesia e attenzione. Pensavo fosse dovuta alla mia età, ormai piuttosto in là nel tempo. In realtà non sapevo bene cosa pensare, ma non ci prestai caso più di tanto. Io sono la stessa, nell’accogliere e nell’ospitalità, e dunque perché stupirsi?

Gli Europei di Gokarna

Questa comunità di stranieri recidivi, che anno dopo anno si ritrova a Gokarna, chi in città, chi in spiaggia, è variopinta e assortita di casi umani fra i più singolari. Nessuna delle persone incontrata qui, può assimilarsi ad un tipo standard. Né i russi, né gli spagnoli o italiani. Forse solo i tedeschi mantengono quella distanza relazionale e freddezza emotiva tipica del loro carattere, che a me non piace nulla. Ma per fortuna ne conobbi solo un paio e non mi avvicinai a loro perché per nulla attratta. Una sola volta che lo feci fui allontanata in malo modo. Una delle prime donne sole, che viaggiano in India, cosa bellissima perché sono davvero tante, fu un’italiana di nome Gabriella. Anche lei da diversi anni viene qui a trascorrere alcuni mesi all’anno. Romana di origine, legammo subito e pranzammo insieme, raccontandoci anche cose molto personali e confidenziali. Mi colpì la sua saggezza di giudizio, il suo aver viaggiato tantissimo e una certa aria distratta e un po’ fra le nuvole, che contrasta con il mio essere invece molto presente nelle situazioni. Conoscendola meglio, poi, scoprii essere persona del tutto inaffidabile, proprio per questa sua astrazione che le fa persino dimenticare le cose dette o gli impegni presi. Ma qui si impara ad accettare ciascuno per come è e senza giudizio. Solo, per me è importante capire con chi ho a che fare, per regolarmi di conseguenza. Presentai Gabriella a Prem e nacque fra loro una subitanea amicizia. Si dimenticarono di me e mi esclusero dalla loro frequentazione. Ma la cosa, se mi dispiacque un po’ all’inizio perché mi sentii esclusa soprattutto da parte di Gabriella, poi finì per essermi del tutto indifferente. Nessuno di loro avevano per me quella profondità e spessore umano che mi permettono di sentire veramente dentro le persone. Come invece accadde con Matilda. Un caso a parte sono i russi. La maggior parte di loro vive per conto suo, in una cerchia chiusa. Tranne Olga. Ma di lei voglio parlarne a parte.

La donna indiana

Mi stupì non vedere nei due ristoranti che frequentavo, Il Bhagavan e il Rudaprada, lavorare alcuna donna. Tutto lo staff in cucina e ai tavoli era composto da uomini.  Ragazzi molto giovani che dormivano la sera su brandine all’aperto e non lasciavano mai il posto di lavoro. Così non avevo occasione di conoscere alcuna ragazza indiana, come mi sarebbe piaciuto da brava femminista radicale.  Una mattina presto, mi alzavo come d’abitudine sempre nelle prime ore del giorno, affacciatami sul piccolo balcone con quattro scalini che dà accesso alla mia casa, vidi nel campo coltivato di fronte a me una donna innaffiare con delle grandi brocche di plastica le piante di non so quale vegetale. File perfettamente allineate di piante crescevano direttamente sulla sabbia, circondate tutt’intorno da alte palme di cocco e banani. Sembravano disegnate con il righello, tanto erano perfettamente distribuite dritte una dietro l’altra, su monticcioli separati da lunghi solchi per lo scolo dell’acqua e l’irrigazione. Non sapevo ancora che quella donna era la mamma di Jayaram. Ma lo scoprii in poco tempo. Una cosa molto fastidiosa era la spazzatura che si trovava ammucchiata in vari angoli del terreno intorno la mia casa. Ovunque cartacce e plastica, senza che nessuno si curasse di raccoglierle. In particolare c’era una quantità infinita di bustine vuote di tabacco. Chiunque passasse di lì e lo sniffasse, buttava via la cartina. Per non parlare poi di tutto il resto. Materiali di scarto di ogni natura e consistenza. Era davvero incredibile, pensavo, come questa gente non si curasse minimante di non sporcare e di accumulare immondizia come fosse una collezione. Mi sembrava uno scempio nella natura, la mia coscienza ecologista non riusciva ad accettarlo. Così proposi a Valeria, la donna russa mia vicina di casa, di ripulire noi il terreno, avendo notato che anche lei mostrava una certa cura per la sua casa, identica alla mia e distante solo pochi metri. In un’ora raccogliemmo quattro sacchi grandi di spazzatura, e il risultato trasformò quel luogo in un giardino dell’Eden. Ne ero pienamente soddisfatta. Questa nostra attività non restò inosservata, anzi fumolto apprezzata. Mentre ancora stavamo raccogliendo immondizia, infatti, la donna che lavorava nei campi si avvicinò per aiutarci. Ed era lei la mamma del mio affittuario. Bella, alterae dallo sguardo vivace ed intelligente, naturalmente non parlava una parola di inglese, ma si esprimeva a gesti e con strani suoni gutturali che emetteva per richiamare la mia attenzione. Ne fui subito affascinata e catturata. Mi piaceva questo suo tentativo di non arrendersi alla impossibilità di comunicare e le risposi per le rime, gesticolando anche io per farmi capire. Pensai di ringraziarla per l’aiuto ricevuto offrendole dei dolcetti di frutta martorana, che mi ero portata dalla Sicilia. Iniziò quello che sarebbe poi diventato un rituale quotidiano, lo scambio dei doni.

Olga

I russi hanno invaso il territorio di Gokarna. Si può ben dirlo perché sono assai numerosi. Per lo più moscoviti. Si distinguono subito sia per le caratteristiche fisiche che per la lingua, che si sente parlare decisamente più del kannada. E fanno vita a sé. Costituiscono una vera comunità piuttosto chiusa, come il loro carattere almeno apparente. Ero scoraggiata ad avvicinarmi dal loro sguardo e dal loro atteggiamento. Ma la cultura russa è fra le mie preferite e dunque ero assai curiosa di parlare con loro. Aspettavo l’occasione propizia e la persona giusta. Più disponibile a relazionarsi con le altre persone del posto. Non mi ricordo come accadde che conobbi Olga. L’avevo notata in spiaggia il giorno precedente, piccola, graziosa coi capelli cortissimi nel viso ovale di una bellezza suggestiva. Occhi azzurro-chiaro limpidi etrasparenti. Un sorriso di dolcezza e beatitudine che incantava. Poi a pranzo c’eravamo scambiati degli sguardi, ma io riconoscendo  il suo idioma russo non avevo avuto il coraggio di propormi e allacciare un contatto. Aspettavo. Un legame però dovette instaurarsi, perché poi ricordo solo che eravamo sedute ad un tavolo del Rudaprada a chiacchierare. Parlava abbastanza bene l’inglese e capiva l’italiano, perché era stata a lungo nel mio paese. Sua figlia, Anna, bellissima quarantenne, era con lei. Cominciammo a parlare dei nostri rispettivi paesi e io la tempestavo di domande, stando però attenta a non eccedere per non indisporla, sebbene lei apparisse contenta di raccontare e di rispondere alle mie curiosità anche per esempio  sul regima comunista precedente e sull’attuale. Le chiesi che idea avesse del loro  premier indiscusso, che lei definì come l’ultimo comunista. Decisamente durante il comunismo si stava meglio in Russia, anche se la privazione di numerose libertà era difficile da sopportare ed un ostacolo alla convivenza internazionale. Questa la sua opinione.

 

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