Nereo Rocco: maestro di vita1912-1979

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Nereo Rocco: maestro di vita1912-1979

di Marino Bartoletti
 
Mi vanto di essere stato suo amico (col rispetto con cui potevo usare la parola “amicizia” verso una persona che aveva l’esatta età di mio padre). Mi vanto - certamente - di avergli voluto molto bene. Non posso vantarmi, perché è stata solo fortuna, di averlo potuto frequentare, assaporare, ammirare, vivere per giorni e giorni, per anni e anni. Nel lungo momento più bello della mia carriera professionale. E chi non avuto la gioia di vivere quei tempi di umanità applicata al calcio non potrà mai capire
Nereo Rocco se ne andò in una stanza dell’Ospedale Maggiore della sua Trieste in un maledetto giorno di bora di quarant’anni fa. Aveva appena mandato in mona il dottor Ginko Monti (che l’ha raggiunto all’osteria un mese fa) che lo aveva assistito come un figlio fra i figli, Bruno e Tito.
A Tito disse “dame el tempo”, come faceva con Cesare Maldini per sapere quanto mancava alla fine della partita. Credeva di essere ancora in panchina.
 
 
Mi rendo conto che non sia possibile raccontare Nereo nato Roch, nipote di Ludwig cambiavalute di Vienna scappato a Trieste per amore e figlio di Giusto, macellaio di buona cultura come tutta la famiglia. Diventò Rocco nel 1925 per un errore di trascrizione dell’ufficiale dell’anagrafe che avrebbe dovuto scrivere “Rocchi”. Ma tant’è. L’importante era non chiamarlo “mister”. Perché la risposta era “mister te sarà ti, mona”!
In un mondo in cui tutti pensavano (e pensano sempre più) di aver inventato il calcio, lui, da giovane allenatore all’esordio in panchina issò al secondo posto in campionato alle spalle del Grande Torino la sua Triestina appena ripescata dalla retrocessione. Poi fece miracoli al Padova raggiungendo risultati inimmaginabili che lo portarono ad essere corteggiato dalla Roma, dalla Juventus e dalla stessa Nazionale (dove, a giudizio di Gianni Brera, se fosse veramente andato avrebbe risparmiato all’Italia un decennio di umiliazioni). Al Milan vinse lo scudetto al primo colpo: idem con la Coppa dei Campioni (la prima della storia del calcio italiano). Tornato in rossonero dopo tre anni si rimise in tasca scudetto, Coppa dei Campioni e Coppa Intercontinentale, con una squadra che lui, ritenuto il “re del catenaccio”, mandò in campo umiliando l’Ajax con un attacco che recitava Hamrin, Lodetti, Sormani, Rivera, Prati.
Ha forgiato generazioni di fenomeni: ha rigenerato giocatori che per altri erano arrivati al capolinea. Ha creato una genìa di allievi che hanno segnato anche in panchina la storia del calcio. E’ stato un maestro di psicologia facendo finta di non esserlo. Al di là dei suoi meriti tattici certificati dalla pietra della leggenda, ha se non inventato certamente portato alla perfezione il concetto di “spogliatoio
La definizione “maestro di vita” sta alla perfezione a pochi come a lui. Maestro di tutti. Una volta ebbi la stupidità, per colpa di un collega perfido che amava seminare zizzania, di alzare la voce per replicargli. Avevo ventotto anni. Mi venne vicino: mi diede uno scappellotto e poi mi abbracciò. Fu una delle più grandi lezioni che abbia ricevuto in vita mia. Una vita, ripeto, resa fortunata dal fatto stesso di aver incontrato un Uomo così. 
Federico Fellini, affascinato dalla sua maschera, gli propose di recitare in “Amarcord” nella parte del padre di Titta. Ebbe forse l’unico momento di civetteria di tutta la sua burbera esistenza. Poi in un ristorante di Bologna, davanti a un piatto di tortellini, gli disse “no, grassie sior Felini”. Il motivo? Il piccolo dubbio che l’Ufficio Senatori dello Spogliatoio per la prima volta avrebbe potuto prenderlo in giro. E lui era pur sempre “el Paròn
Ero con Gianni Brera, più un fratello che un amico per lui, il giorno in cui gli venne chiesto di scrivere il pezzo sulla sua morte. Strinse la mascella: si buttò sul carrello della “Lettera 22” stritolando il sigaro toscano: “E’ morto Nereo Rocco e io non debbo nemmen pensare di poter piangere. I miei sentimenti non contano. Tanto più sarò suo amico, quanto meglio riuscirò a ricordarlo senza frapporre l’amicizia fra me e il mio lavoro insolente....Addio Nereo, ti sia lieve la terra”.
 
Nereo Rocco, Trieste 20 Maggio 1912 - Trieste 20 Febbraio 1979
 
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