di Giovanni Curatola
Era (ed è) il fiume che divide il Piemonte dalla Lombardia. Con la differenza che il quasi irrilevante confine interregionale che è oggi, nel 1821 era una frontiera bell’e buona e separava il Regno di Sardegna di Casa Savoia dal Lombardo-Veneto austriaco. I moti carbonari scoppiati nel marzo di quell’anno in Piemonte fecero presagire ai patrioti di entrambi gli stati un’imminente invasione piemontese del Lombardo Veneto, con inevitabile passaggio del fiime Ticino appunto. Ma così non sarà: il Ticino verrà attraversato solo 27 anni dopo, nel 1848, in quella passata alla storia come “I° guerra d’indipendenza”. All’inizio parve portar bene: i piemontesi arrivarono a ricongiungersi con gli insorti di Milano (le famose “Cinque giornate”) e a spingersi oltre Verona. Fin quando le batoste di Custoza prima e Novara poi portarono gli asburgici di Radetsky a riprendersi quanto momentaneamente perso, e a ricacciare i piemontesi esattamente dov’erano partiti: ad ovest del Ticino. Sulla scia dell’entusiasmo presto tradito dei moti del 1821, Alessandro Manzoni scrisse un’ode in 13 strofe che poi sapientemente occultò a lungo per poi ritirarla fuori dal cassetto, e riadattarla, nel 1848, quando i piemontesi “soffermàti sull’arida sponda” volsero gli sguardi indietro: al Ticino, adesso si, effettivamente “varcato”. Contrariamente agli auspici del poeta, tuttavia, causa i rovesci militare sopra accennati l’“onda” del Ticino continuerà ancora per qualche anno a scorrere “tra due rive straniere”. Si dovette attendere infatti il 1859 (“II° guerra d’indipendenza”), quando grazie all’alleato francese giunto a dar man forte ai piemontesi via ferrovia e via mare, il fiume fu riattraversato, stavolta definitivamente. Lo stesso Napoleone III, oltrepassatolo, guidò sul campo i francesi nella battaglia che aprì la strada di Milano ai piemontesi: la battaglia di Magenta. La cittadina fu strappata agli austriaci la sera del 4 giugno 1859, dopo un assalto iniziato fin dalla mattina e condotto principalmente da reggimenti di zuavi francesi. La facciata di un palazzo d’epoca (“Casa Giacobbe”, il primo edificio cittadino espugnato agli austriaci) reca ancora i segni delle granate di quel giorno. Per gli abitanti di Magenta, è oggi più che una reliquia. Per la cronaca, il fronte che quel giorno passò da Magenta si spostò sempre più ad Est: Milano fu a breve, stavolta definitivamente, “liberata” dalla presenza austriaca e le battaglia di S.Martino e Solferino faranno il resto. Quasi tutto il Nord Italia (ad eccezione di Trentino, Veneto e Venezia-Giulia) passerà in quell’anno in mano dei piemontesi, supportati a onor del vero in qualche caso da plebisciti-burletta e soprattutto dagli alleati stranieri del momento (la nomea dei Savoia vincenti sempre con gli eserciti degli altri nacque proprio allora). Alleati che in quel 1859 erano i francesi, gli stessi che appena 2 anni dopo, nella “III° guerra d’indipendenza”, costituiranno il principale nemico e ostacolo alla presa di Roma. La sottile strategia diplomatico-militare tutta italiana di allearsi col più forte del momento per un duplice motivo (uno immediato: quello di non avercelo contro, e uno futuro: per sfruttarne i suoi successi facendoli diventare anche propri), non è solo roba dell’Italia del ‘900. Non risale alla Triplice Alleanza, al Patto d’Acciaio o all’8 settembre. Era in uso già durante il Risorgimento e, a ben guardare, anche prima.
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