L'erotismo raffinato di Anais Nin17/1/2020
L'erotismo raffinato di Anais Nin17/1/2020
di Ilaria Cerioli e Andrea Giostra
nella foto di copertina Anais Nin adolescente nel 1920
PREMESSA
Come nacque “Il delta di Venere” di Anaïs Nin e quale processo letterario innescò nella letteratura erotica a partire dagli anni Quaranta.
di Andrea Giostra
Avevo esattamente 14 anni quando comprai per corrispondenza – come si usava allora per acquistare a bassissimo costo i classici di successo – questo libro che lessi voracemente e mi aprì un mondo sconosciuto del quale rimasi affascinato e sedotto inesorabilmente. Anaïs Nin (1903-1977) divenne da allora la mia maestra per apprendere l’arte di amare e di sedurre, e le sue “lezioni” le trovai sempre straordinarie, puntuali ed efficaci. Dopo questa prima raccolta di racconti erotici, comprai e lessi tutti i suoi libri che riuscii a trovare, non senza difficoltà (non era affatto facile allora andare in libreria e trovare le opere di un’autrice ritenuta in Italia, negli anni Settanta/Ottanta, palesemente contro la morale pubblica giudaico-cristiana e contro il formalismo di facciata che si respirava in quel tempo da parte dei cosiddetti intellettuali “illuminati”. Riuscii comunque a trovarne diversi, gli altri li recuperai nel tempo. Solo nel 1990 Anaïs Nin venne sdoganata dalla “cultura” italica dominate di allora (come ancora di adesso), quella di sinistra apparentemente liberale, innovativa e rivoluzionaria, ma nei fatti – la storia de “Il delta di Venere” raccontata in questa poche pagine è un esempio lapalissiano e concreto di quella miopia culturale – bacchettona e di un moralismo estremista e pregiudiziale per principio. Fu così che nel 1990 la sinistra de “L’Espresso” pubblicò, allegandolo al settimanale, il Tascabile Bompiani de “Il delta di Venere” ristampato dall’editore italiano proprio su richiesta del magazine, che ricomprai in quella nuova riedizione. Una delle foto di questo articolo ritrae le copertine delle due copie in mio possesso.
Pochi lettori conoscono la storia di questa raccolta di 15 racconti erotici pubblicati solo nel 1977, nello stesso anno della morte della scrittrice. Nel 1978 vennero pubblicati in Italia da Bompiani.
La verità è che questo lavoro venne realizzato negli anni Quaranta su commissione. La richiesta della stesura di racconti erotici fu di un ricco possidente statunitense (il collezionista), che ne avrebbe fatto uso privato, al già allora famosissimo e conosciutissimo scrittore statunitense Henry Miller (1891-1980), al quale dal magnate venne proposta una buona paga mensile per scrivere racconti erotici che sarebbero stati di sua esclusiva lettura.
Henry Miller in un primo momento accettò l’incarico, ma dopo pochi mesi, per motivi che possiamo solo intuire leggendo il “Diario” di Anaïs Nin, si stancò e, con una evidente scusa, chiese alla sua giovane amica (amante) e ancora poco conosciuta scrittrice Anaïs, che in quel periodo aveva bisogno di soldi e di lavoro, di occuparsene. Anaïs accettò senza esitare l’incarico e iniziò a scrivere questi racconti con interesse e dedizione, coinvolgendo i suoi amici artisti e poeti che avrebbero dovuto raccontare, nelle serate salottiere della sua New York, storie di sesso vere e bizzarre dalle quali avrebbe preso spunto. Spesso ricevette anche degli apprezzamenti dal suo “datore di lavoro” che però si limitava a dirle al telefono: «Si concentri sul sesso. Lasci perdere la poesia.»
A proposito del coinvolgimento di Anaïs Nin, nel terzo volume del suo “Diario” (1966) l’autrice scrive: «Aprile, 1940. “Un collezionista di libri ha offerto a Henry Miller cento dollari al mese per scrivere racconti erotici. Sembra una punizione dantesca condannare Henry a fare pornografia per un dollaro la pagina. Si è ribellato perché in quel momento non era proprio in una vena rabelaisiana. Perché scrivere su ordinazione era un’occupazione castrante, perché scrivere con un voyeur che spiava dal buco della serratura toglieva ogni spontaneità e ogni piacere alle sue avventure amorose.» Fu sette mesi più tardi, nel mese di dicembre del 1940, che Henry Miller propose ad Anaïs Nin di scrivere dei racconti da consegnare al collezionista: «Quando Henry Miller si trovò ad avere bisogno di soldi per le sue spese di viaggio, mi proposte di scrivere qualcosa durante la sua assenza. Io non volevo dare niente di genuino, per cui decisi di creare un misto di storie che avevo sentito e di invenzioni, fingendo che fossero tratte dal diario di una donna. Non incontrai mai il collezionista. Avrebbe letto le mie pagine e mi avrebbe fatto sapere cosa ne pensava. Oggi ho ricevuto una telefonata. Una voce ha detto: “Va bene. Ma lasci perdere la poesia e le descrizioni di tutto quello che non è sesso. Si concentri sul sesso.” Così incominciai a scrivere ironicamente, divenendo così improbabile, bizzarra ed esagerata, che pensai che il vecchio si sarebbe accorto che stavo facendo una caricatura della sessualità. Ma non ci fu nessuna protesta. Passavo i giorni in biblioteca a studiare il Kama Sutra, ascoltavo le avventure più spinte degli amici … E questo diede origine a un’epidemia di “diari” erotici. Tutti si annotavano le loro esperienza sessuali. Inventate, udite, ripescate da Krafft-Ebing e da testi medici. Avevamo conversazioni comiche. Uno raccontava una storia e gli altri dovevano decidere se era vera o falsa, O plausibile.»
Fu così che Anaïs Nin, come possiamo leggere dagli stralci del suo “Diario” che abbiamo riportato, iniziò a scrivere i suoi racconti erotici, coinvolgendo in questo “progetto” i suoi più cari amici con i quali condivideva l’arte dello scrivere, gli stenti nel mantenersi com’era allora per molti artisti delle sue frequentazioni, e le goliardiche serate newyorkesi in compagnia. Nacquero così 15 racconti erotici conosciuti universalmente come “Il delta di Venere” che, come vedremo, hanno la peculiarità di mantenere la centralità della narrazione interna al mondo femminile e alla femminilità.
La cosa che dà inizio ad un processo narrativo del genere letterario erotico al femminile, ce la racconta la stessa Anaïs Nin nel “Postscriptum” al suo “Diario” che scrisse a Los Angeles nel settembre del 1976: «Nel periodo in cui stavamo tutti scrivendo pornografia a un dollaro la pagina, mi accorsi che per secoli avevamo avuto solo un modello per questo genere letterario: quello maschile. Ero già consapevole delle differenze nel modo di trattare l’esperienza sessuale da parte dell’uomo e da parte della donna. Sapevo che c’era una grande disparità tra la chiarezza di Henry Miller e le mie ambiguità, tra la sua visione umoristica, rabelaisiana del sesso e la mia descrizione poetica delle relazioni sessuali nelle porzioni inedite del Diario. Come scrissi nel terzo volume del Diario, avevo l’impressione che il vaso di Pandora contenesse i misteri della sensualità femminile, così diversa da quella maschile, e per la quale il linguaggio dell’uomo era inadeguato. Le donne, mi pareva, erano più portate a fondere il sesso con l’emozione, con l’amore, e a scegliere un uomo piuttosto che stare con molti. Questo per me divenne evidente mentre scrivevo i romanzi e il Diario, e lo vidi ancor più chiaramente quando incominci ai ad insegnare. Ma, nonostante l’atteggiamento delle donne nei confronti del sesso fosse piuttosto diverso da quello degli uomini, noi donne non avevano ancora imparato a scrivere sull’argomento. In questa collezione di racconti erotici, scrivevo per divertire, sotto pressione da parte di un cliente che mi chiedeva di “lasciar perdere la poesia”. E così mi pareva che il mio stile fosse un prodotto della letteratura di lavori maschili. Per questa ragione, per un lungo periodo ebbi la sensazione di essere venuta meno al mio io femminile. E misi da parte i racconti erotici. Rileggendoli ora, che sono passati molti anni (26 circa), vedo che la mia voce non era stata messa completamente a tacere. In molti passaggi avevo usato intuitivamente un linguaggio femminile, considerando l’esperienza sessuale dal punto di vista di una donna. Alla fine decisi di permettere la pubblicazione dei racconti (“Il denta di Venere” venne pubblicato solo nel 1977, 27 anni dopo che erano stati scritti su commissione al famoso collezionista) perché mostrano i primi sforzi di una donna in un mondo che è stato di esclusivo dominio maschile. Se la versione non purgata del Diario verrà mail pubblicata, questo punto di vista femminile verrà stabilito con maggiore chiarezza. Farà vedere come le donne (e io, nel Diario) non abbiamo mai separato il sesso da sentimento, dall’amore per l’uomo come essere totale.»
Quella raccontata da Anaïs Nin nei suoi racconti, è una sessualità libera, istintiva, naturale, “animalesca” se vogliamo, spregiudicata, priva di pregiudizi, di preconcetti e sensi di colpa, che si declina in tutte le forme e sfaccettature possibili che ad un lettore prigioniero di costrizioni culturali medioevali appaio, ancora oggi, come scandalose e da censurare senza contraddittorio. La passione, l’attrazione, i piaceri del sesso, si declinano da quella eterosessuale a quella omosessuale, dalle orge all’attività edonistica più dissoluta, senza mai scadere nella volgarità e nella bruttezza, e che allora, negli anni descritti da Anaïs Nin, in una certa fascia di popolazione, trasversale e già proiettata nel futuro, erano assai di moda nelle segrete camere della borghesia, del mondo degli artisti e delle modelle e delle nobiltà più spregiudicata di quel periodo newyorkese e parigino.
Ma detto questo, dobbiamo aggiungere che quest’opera letteraria non è un libro per tutti!
È un’opera che dopo quasi 80 anni da quando fu scritta, appare ancora oggi contemporanea e attuale. È una raccolta di storie per gli amanti del genere, ma anche per gli appassionati di cultura e di letteratura di spessore e alto profilo. Una letteratura, quella di Anaïs Nin, dove non si trovano tracce di “mediocrità” caratteristica identitaria di gran parte della “letteratura” (se vogliamo azzardare a chiamarla letteratura!) italica contemporanea! Ma questo è un altro discorso. Quello che ora ci interessa sapere è la prospettiva di una Donna colta, scrittrice di un genere letterario che certamente ha influenze che partono dalla nostra Anaïs Nin, e che saprà darci un punto di vista attuale, contemporaneo, moderno di una forma letteraria che finalmente ha svestito i panni dell’interdetto e ha assunto una veste che non abbisogna di camuffamenti e di ipocriti neologismi.
«Anaïs Nin rimane l’unica scrittrice capace realmente di svolgere, capitolo dopo capitolo, un immaginario erotico, che per quanto possa essere spinto fino ai limiti del lecito, non diventa mai molesto o volgare»
di Ilaria Cerioli
Insieme a Colette (1873-1954), senza ombra di dubbio Anaïs Nin è ancora oggi uno dei miei modelli di scrittura. Ho scoperto precocemente le sue opere, quando le mie coetanee preferivano la discoteca alla biblioteca e ben presto il nostro incontro si è trasformato in amore assoluto. Ho maneggiato talmente tante volte i suoi racconti da consumarne la copertina. All’inizio ero soprattutto curiosa di decifrare quelle strane sensazioni suscitate dalla lettura de Il delta di Venere, iniziando proprio con quelle pagine a praticare sesso. Non quello consumato tra Brooke Shieldds e Christopher Atkins in Laguna Blu, ma quello che ha odore, consistenza e sapore. Se oggi molti adolescenti sono circondati da contenuti pornografici stereotipati, tratti principalmente dai siti, all’epoca io avevo solo la letteratura come maestra di vita. È vero: sono stata molto precoce ma, dall’altra parte, la mia è stata un’educazione erotica-sentimentale privilegiata perché fatta da grandi maestri: Moravia, Anaïs Nin, Emmanuelle, Nabokov e Almudena Grandes. Grazie alle loro opere ho deciso che provare piacere era bello e non, come mi era stato insegnato in una scuola di suore, sbagliato o peccaminoso. Grazie a loro sono diventata una giovane donna consapevole del suo corpo. Ecco il merito della bella scrittura erotica, quella elegante e intelligente: non si tratta solo di libri. Sono formule magiche che aprono porte. Ci rivelano che crescere significa anche entrare in contatto con la nostra intimità senza falsi pudori. Anaïs ci insegna che la sessualità è spontanea, libera da vincoli e vitale. Chiunque, infatti, abbia intenzione di scrivere di erotismo, in particolare quello femminile, non può non partire dall’autrice francese. Resta, infatti, l’unica capace realmente di svolgere, capitolo dopo capitolo, un immaginario erotico, che per quanto possa essere spinto fino ai limiti del lecito, non diventa mai molesto o volgare. Così, seguendo il flusso della sua prosa raffinata, troviamo situazioni che accarezzano delicatamente tabù e fantasie lascive. Mette a nudo con grazia i nostri pensieri più reconditi, quelli che pochi oserebbero rivelare in una conversazione tra amici. La forza di Anaïs? Saper raccontare con parole sapienti, mai eccessive o triviali anche il sesso più sporco o selvaggio. La piccola scrittrice francese introduce, infatti, il lettore nella mondanità decadente e bohemien. La sua ambientazione si rifà a quella società parigina e americana delle Avanguardie, frequentata da artisti squattrinati e modelle. Tutti anime spregiudicate che vivono dividendosi tra studi e soffitte. Facile è riconoscere in questi personaggi la stessa autrice, che come Elena (protagonista del racconto omonimo), vive della sua scrittura e di amori totalizzanti (primo tra tutti Henry). Per guadagnare qualche soldo e pagare nel 1941 una bolletta telefonica, scrive infatti Il delta di Venere, la piena celebrazione del corpo e dei suoi istinti poiché, nelle sue pagine, domina solo la passione, urgente e violenta. Non c’è spazio per il sentimentalismo mediocre. Nulla qui è vietato: tutto diventa lecito e bellissimo, a patto di lasciarsi trasportare dall’emozione e non indietreggiare dalle carezze di uno sconosciuto. Non a caso Il delta di Venere si apre con uno dei racconti erotici più belli e accattivanti della storia: L’avventuriero ungherese. Un uomo che vive della sua bellezza fin tanto che può. Abituato a sedurre, diventa l’ultimo emblema di un mondo dannunziano e impudente; vagabondo per l’Europa e l’Argentina a caccia di qualche ereditiera, arriva inconsapevole all’età della pensione. Così, non potendo più dedicarsi con assiduità al talamo, il libertino trova conforto tra le braccia delle figlie fino a infrangere uno dei massimi tabù. Ecco, cosa è Anaïs: una donna senza paura, spavalda nel suo modo di indagare la sessualità, senza giudizio, ma con quella franchezza di chi ha vissuto il sesso come strumento di conoscenza. Anaïs, infatti, nel suo studio di psicoterapeuta raccoglie le testimonianze dei suoi pazienti. Ascolta, scrive e trasforma quelle fantasie in un capolavoro dell’erotismo. Come possiamo definire Il delta di Venere? Pornografia? O piuttosto un compendio acuto e raffinato di tutte le nostre fantasie più segrete? Il pubblico a cui Anaïs si rivolge sembra più quello femminile rispetto a quello maschile, nonostante il libro le fosse stato commissionato proprio da un uomo. I temi, infatti, sono più coerenti con l’immaginario erotico delle donne: il rapporto col padre, la perdita della verginità, il rapporto a tre e quello saffico. Non a caso, infatti le donne protagoniste ci vengono presentate tutte diverse: la timida, la ninfomane, la frigida, l’ambigua Leila o la donna calda e avvolgente come Bijou. Il loro modo di amare non ha nulla a che vedere con lo stereotipo dell’amore romantico, piuttosto è fatto di orgasmi rubati, violenze più o meno palesi, sex toys e sogni proibiti. Non credo sia casuale la scelta di iniziare l’opera proprio con L’avventuriero ungherese. A mio avviso, infatti, può essere considerato una dichiarazione poetica per la scelta oculata di uno stile perfetto e levigato, del linguaggio evocativo e fortemente erotico che richiama i quadri di Balthus. Oppure l’altro racconto ambiguo, dissacrante e torbido come Il collegio, dove l’ambivalente erotismo degli adolescenti sfocia nella violenza di gruppo. Immagini forti? Certo, perché nel sesso raccontato da Anaïs non c’è spazio per la razionalità o la morale: è spontaneo, viscerale, esagerato. Il sesso come strumento di ricerca: chi scopre il piacere mai provato come nel racconto L’anello; chi, invece sperimenta l’amore totalizzante. Bijou, ad esempio è la puttana sacra. Non ha alcun senso del pudore proprio perché l’amore lei lo vive con entusiasmo. È un dono gratuito come omaggio alla vita: «in lei non c’era nulla di flaccido o rilassato, c’era invece una forza nascosta, come quella di un puma, e nei suoi gesti una stravaganza e una veemenza che ricordava le donne spagnole.» È la Maga di Cortazar, la regina del Gioco del mondo. Bijou, come Viviane o Elena, sono tutte streghe che danzano di nuovo la danza sensuale di Salomè. Seducono, prendono per sé il piacere e poi fuggono. Nessuna resta per sempre e contempla il “vissero felici e contente”. Ogni vicenda del Delta di Venere è chiusa in sé stessa, definita in uno spazio: un’abitazione, una stanza di bordello o uno studio. Anaïs non vuole farci perdere tempo nelle inutili descrizioni, affronta di petto la materia. La sua forza è quella di evocare le atmosfere con poche pennellate impressioniste, per lasciare spazio solo al calore dei corpi, all’odore della pelle sudata, al suono del respiro affannato. Per questo fa uso di metafore e similitudini che rafforzano il suo messaggio e suscitano, senza esplicitare troppo, l’attesa «Bijou infilava questa falsa virilità non dentro a Viviane, ma tra le gambe, come se stesse agitando il latte nella zangole». Finalmente un libro in cui la vulva è protagonista «una vulva gigantesca, una pianta di mare dai bordi orlati, che si aprono solo per risucchiare qualsiasi tipo di cibo riescono a catturare», dove il membro maschile diventa puro oggetto di piacere. Se le donne nel Delta scoprono qualcosa di sé, gli uomini, invece sono ambigui, infingardi come il Barone, repressi come il frate che si eccita davanti ai giovani discepoli, violenti come gli uomini di Mathilde, o malinconici e irrisolti come Pierre. Il delta di Venere non offre alcuna redenzione. Non esiste il lieto fine, piuttosto i protagonisti, tutti bellissimi, nel pieno della giovinezza, come fossero usciti dal grande Gatsby, sembrano angeli caduti. Ci raccontano di un mondo che sta per finire: quello di un’estate meravigliosa, lontana e inconsapevole: «penso – dice Pierre nell’ultimo scritto – che tutti intuissero che sarebbe stata l’ultima goccia di piacere».
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