Morire a casa del Duce - Fiorenza Ferrini19/4/2020

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Morire a casa del Duce - Fiorenza Ferrini19/4/2020

di Giovanni Curatola

Le scelte di vita sono una costante di tutti, quelle di morte un lusso di pochi. Quello che segue è il sintetico, inconsueto ed eccezionale epilogo – da qualunque lato la si veda - di una donna che ha fatto della coerenza la sua bandiera. Era una delle oltre 6.600 “soldatesse di Mussolini” che ai tempi della Repubblica Sociale Italiana corsero ad arruolarsi nel “S.A.F.” (Servizio Ausiliario Femminile, corpo riservato alle volontarie e che prevedeva la loro militarizzazione ma non l’impiego in zona di guerra). Ma lei, Fiorenza Ferrini, all’epoca 18 enne e dunque a rigor di termini neppure arruolabile (la maggior età era ai tempi di 21), caparbia com’è sempre stata, al fronte riuscì pure ad andarci.

Nel dopoguerra Fiorenza non ha mai rinnegato la sua fede (il suo pensiero su Mussolini me lo condensò anni fa in 4 sole parole: “onesto e incorruttibile come nessuno”), pur essendo dotata di quell’intelligenza che manca ai tanti che per miopia o superficialità la storia la studiano (o la insegnano) senza i necessari distingui ma per blocchi assoluti ed etichette forzatamente applicate ad ogni contesto: tutti i buoni di qua, tutti i cattivi di là, quella fazione ha solo ragione, quell’altra solo torto. Fiorenza no. Lei si è sempre spinta oltre il suo credo politico, dividendo gli uomini non in rossi e neri, ma in buoni e cattivi. “Gli uomini vanno sempre giudicati dal loro cuore, non dal colore che portano addosso”. Sarà per questo che, fra i tantissimi ammiratori e fra la gente che, conoscendola, ha subito imparato a volerle bene, ce n’era pure molta della parte avversa. A partire da quel partigiano democristiano che il 25 aprile 1945 - dopo che l’Arcivescovado di Milano aveva chiuso a Fiorenza e alle sue “camerate” la porta in faccia - la nascose per salvarla così dall’odio barbaro dei “suoi”, e con cui nel dopoguerra Fiorenza ha stretto fraterna amicizia.

Da una ventina d’anni Fiorenza passava tutte le sue estati a Villa Càrpena (residenza dei Mussolini dal 1923, a metà strada tra Forlì e Predappio), e che amorevolmente e pazientemente ha contribuito con Domenico e Adele Morosini (proprietari dal 2000) a trasformarla in museo, in casa dei ricordi. “Tutto ciò che ho fatto in vita mia – diceva - è legato a quella casa, ma soprattutto a chi ci ha abitato”. In quella casa, dove nacquero 2 dei 5 figli del Duce e dove vivrà fino alla morte donna Rachele, pur ricca di cimeli e continua meta di visitatori, per volontà dei proprietari e col prezioso contributo di Fiorenza tutto doveva sempre essere (ed è) in perfetto ordine. Incluso il giardino, dove “ci passeggiava il Duce e ci giocavano i suoi figli”.  La sua voce dolce e pacata ha per anni impreziosito, senza mai dispensare odio o rancore, l’esperienza di tanti visitatori della Villa.   

Tralasciamo altri aspetti della sua vita, da raccogliere se Dio vorrà in un futuro libro, e veniamo subito all’epilogo della sua vicenda umana. Estate 2017: Fiorenza, ormai 91enne e affetta da un male incurabile, è ricoverata all’ospedale del suo paese: Negrar (Verona). Non potrà ovviamente più scendere a Villa Càrpena come ogni estate, ed è ormai più che evidente che i suoi giorni sono contati. Ma andarsene su un letto d’ospedale, in un modo anonimo e scontato, non è da lei. Se non ha più forze, mantiene intatta la sua lucidità. Chiama giù alla Villa e chiede, con aria stanca ma perentoria, di essere portata a morire lì. Non c’è bisogno di insistere, perché lì è di famiglia e Domenico e Adele sono ben felici di esaudire questo suo ultimo desiderio. Così, tra lo sbigottimento di medici e infermieri, in fretta e furia l’anziana, malata ma sempre battagliera Fiorenza trasloca. Si provvede a farle cambiarle medico curante, a farla dimettere con una liberatoria di non facile esecuzione dall’ospedale e a prenotarle un’ambulanza che, grazie all’interessamento del cavaliere dell’Ordine di Malta Vincenzo Lucisano, giunge apposta dalla Lombardia (l’ospedale infatti, contrario a dimissioni e trasferimento, non la fornisce). Così, la tarda mattina di venerdì 28 luglio 2017, con flebo e tubi attaccati al mucchietto d’ossa a cui la malattia l’ha ridotta, l’ex ausiliaria parte per il suo ultimo viaggio a Villa Càrpena. E’ lei stessa, per prima, a mettere in conto di poter anche non arrivare viva a destinazione, 200 e passa km più giù.

Ma il buon Dio, sempre benevolo con chi lo merita, ripaga la “soldatessa del Duce” facendola non solo giungere viva nella dimora dove ha scelto di chiudere la sua esistenza terrena, ma regalandole altri 2 mesi di vita che, a giudicare dalle condizioni in cui arriva, hanno del miracoloso. Intanto, il giorno dopo il suo arrivo, dal letto della stanza che Adele le ha approntato a pianterreno, partecipa a modo suo (attraverso la finestra che dà sul parco, ma pur sempre di presenza) all’anniversario della nascita del Duce. L’aria “di casa” fa bene a Fiorenza, la morte può attendere. Così un giorno d’agosto, appurata una lieve miglioria nelle sue generali condizioni, è esaudita anche nell’ultimo, estremo desiderio, nato lì ed inimmaginabile sino a qualche giorno prima: salire su a Predappio a pregare, un’ultima volta, sula tomba dell’uomo che dalla sua tenera età è stata la ragione della sua vita. “L’abbiamo portata io e mio marito – ricorda AdeleEra completamente ringiovanita…”.

Fiorenza lascia questo mondo alle 9 della sera del 2 ottobre. Muore esattamente come aveva sognato: libera e fascista, col suo vecchio basco del S.A.F. in testa e nella dimora a lei più cara, tra i pavoni e le galline che tanto amava ed allevava donna Rachele. E dove, con le sue ceneri ormai altrove, tra i tanti cimeli della casa e del giardino un cippo oggi ricorda anche lei.

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