Nell’arco di qualche mese abbiamo attraversato l’incoscienza, la paura, il senso di repressione, la voglia

di libertà e ci siamo diretti inesorabilmente verso il sospetto. Viene detto e scritto di tutto sul Corona

Virus che proprio come un Re, che divide per imperare, ha provocato una sorta di paranoia collettiva

che come scheggia impazzita, da un lato, ha prodotto un nuovo ordine di negazionisti e fatto credere che

la nostra salute non sia mai stata in pericolo, e dall’altra che il pericolo concreto e reale è stato messo in

circolazione volontariamente per infinite fantascientifiche ragioni, per arrivare a creare estrema

confusione alimentata da un’abissale ignoranza che contorcendosi in un intreccio di vere, verosimili,

false informazioni e fantasie deliranti, ha formato un potpourrì secondo il quale ci sarebbe un capo di

governo che intenderebbe renderci robot attraverso l’iniezione di mercurio con un chip per il tramite

del 5G, per far innalzare la temperatura corporea e portarci alla morte. Fin qui si può fare riferimento

ad un macro-sospetto. Parallelamente si è assistito allo sviluppo di un micro-sospetto; quello verso lo

sportivo; il vicino di casa; gli animali domestici.

Nel voler trovare un corrispondente disegno altrettanto fantasioso, mi viene in mente la cervellotica

trama del film “I Soliti Sospetti” uscito nel 1995 per la regia di un giovane Bryan Singer interpretato da

due mostri sacri: Kevin Spacey e Benicio del Toro. In California una nave esplode e un noto criminale,

Dean Keaton, viene ucciso nella stiva da qualcuno che ha appiccato il fuoco e l’equipaggio viene

sterminato. Un solo sopravvissuto, un piccolo delinquente storpio, Verbal kint, viene interrogato da un

poliziotto della Dogana, David Kujan. Inizia così il lungo flash back di Verbal Kint secondo il quale sei

settimane prima si era trovato inspiegabilmente in un confronto all'americana con quattro noti criminali:

Dean Keaton, ex poliziotto corrotto; il violento McManus col socio di rapine Fenster; lo specialista in

esplosivi Todd Hockney. Dall'incontro era nata l'idea di tendere una trappola ad un gruppo di poliziotti

corrotti che servendosi di automobili della polizia permettevano a trafficanti di droga e smeraldi di

consegnare merce e ritirare soldi. Il colpo riesce e l'organizzazione smantellata. Poi il ricettatore a Los

Angeles dà loro un'altra indicazione per rapinare gli smeraldi di un texano. Ma tre uomini restano uccisi

e sui quattro criminali si allunga l'ombra di un fantomatico boss, che li ricatta tramite il suo avvocato

Kobayashi. Fenster, che vuole dileguarsi e che viene trovato morto. I loro dossier sono nelle mani del

misterioso Keyser Soze, che tramite l'avvocato ordina loro di uccidere l'equipaggio di una nave di trafficanti

rivali argentini, eliminare il carico di droga e tenersi il denaro. Invano Keaton cerca di

eliminare Kobayashi: costui conosce fatti e misfatti di ciascuno, ed ha ingaggiato l'amante di Keaton,

avvocato, per ottenere la sua naturalizzazione e minaccia di ucciderla. L'impresa viene compiuta, ma

dopo aver eliminato l'equipaggio, e perso Todd, ucciso da un ignoto killer, McManus e Keaton si

accorgono che non c'è droga a bordo. C'è invece un argentino, Mendoza, che Dave sa essere l'unico

capace di identificare il misterioso Keyser Soze, e che questi uccide. A David viene riferito da un

collega che all'ospedale un marinaio ungherese scampato ed ustionato ha fatto il nome di Soze, che egli

crede essere Keaton. Ma Verbal si rifiuta di credere che l'amico lo abbia tradito. Il poliziotto che

interroga lo storpio si convince pian piano della veridicità del racconto e decide di rilasciare

l’interrogato che si allontana dall’ufficio di Kujan e dopo pochi passi lo zoppo ritrova per incanto l'uso

dell'arto offeso e risale a bordo di una lussuosa limousine che lo aspetta. Intanto Kujan riflettendo con lo

sguardo alla parete dietro la propria scrivania resta attratto da uno dei numerosi appunti, biglietti,

fotografie appesi da lui stesso e solo a quel punto nota che in uno di questi biglietti c’è uno dei nomi

indicati nell’intricato racconto dello storpio. Solo allora si rende conto che era tutto falso. Di corsa esce

a cercarlo ma ormai è troppo tardi.

Dal punto di vista giuridico e processuale il sospetto, il semplice indizio, non possono determinare la

condanna dell’imputato. L’art. 192 c.p.p. dispone: “il Giudice valuta la prova dando conto, nella

motivazione, dei risultati acquisiti e dei criteri adottati”. Il libero convincimento del Giudice trova il

limite dell’obbligo di motivazione, per soddisfare il quale è tenuto a ricostruire il percorso logico-

conoscitivo e a trarne quindi determinate conclusioni. “L’esistenza di un fatto non può essere desunta

da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti…” Essi devono quindi consentire di

ricostruire il fatto, la vicenda storica oggetto delle indagini, in senso univoco e comunque tale da

escludere altre ragionevoli ipotesi. La Corte di Cassazione ha statuito che in tema di valutazione della

prova indiziaria, infatti, il giudice non può limitarsi ad una valutazione frammentaria degli indizi, né

procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma deve valutare, anzitutto, i singoli elementi

indiziari per verificarne la certezza (nel senso che deve trattarsi di fatti realmente esistenti e non solo

verosimili o supposti), saggiarne l’intrinseca valenza dimostrativa (di norma solo possibilistica) e poi

procedere ad un esame globale degli elementi appurati, per accertare se la relativa ambiguità di ciascuno

di essi, isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il

reato all’imputato “al di là di ogni ragionevole dubbio” e, cioè, con un alto grado di credibilità

razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di

qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali, ed estranee all’ordine naturale delle cose e della

normale razionalità umana.

Il processo deve giungere all’accertamento della verità. Verità, “Verità”, una parola messa al bando –
 
almeno sembra - dalla grammatica delle leggi, che gli antichi greci definivano in termini non

affermativi bensì di negazione: “a-letheia” è ciò che “non” si nasconde, si svela. Così come in

termini di negazione pure si definiva il “dubbio”: “a-poria” è la strada che “non” è tracciata in modo

chiaro e visibile.

Dal punto di vista psicologico il “sospetto” caratterizza una patologia della personalità che in questo

periodo pare abbia avuto una sesquipedale espansione. Si tratta di persone sfiduciate e sospettose che

vedono intenzioni malevole nelle azioni degli altri. Sono molto sensibili a ciò che accade intorno a

loro e cercano anche nei messaggi insignificanti, conferma alle loro peggiori ipotesi. Credono che

tutti i loro problemi siano causati dagli altri. Tendono a vedere nelle altre persone aspetti di sé che

non accettano e si sentono continuamente offesi, maltrattati, vittimizzati dagli altri serbando rancore

per offese, affronti o torti per molto tempo. La personalità è formata da tratti, cioè modi costanti di

percepire, rapportarsi e pensare nei confronti degli altri e di se stessi. Se tali tratti sono rigidi e

immodificabili, tanto da causare un disagio o un danno alla persona stessa o chi li circonda, si parla

di Disturbo di Personalità, cioè di un insieme di esperienze interiori e di comportamenti che deviano

rispetto agli standard culturali. Avere dei tratti paranoidi o antisociali non basta a fare di un soggetto,

uno psicopatico; è importante però come li si usa, ossia a quale livello evolutivo i tratti sono

collocati.

L’esperienza in particolare di questo ultimo periodo e le davvero allucinanti teorie, che leggiamo

continuamente sui social, denotano un inquietante e diabolico elemento: le paranoie, gli aspetti

antisociali, i tratti negativi della personalità umana hanno sostituito un elemento non solo davvero

sano, ma fondamentale: il “senso critico”, ormai sconosciuto a molti e spesso ben poco sviluppato.

 
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