Il mistero dell'ultimo Don Camillo incompiuto8/12/2020
Il mistero dell'ultimo Don Camillo incompiuto8/12/2020
di Giovanni Curatola
Le fonti sono lievemente discordanti fra loro nel dettaglio, ma concordano tutte nella sostanza: il film del 1970 “Don Camillo e i giovani d’oggi”, il 6° della premiata ditta Fernandel-Cervi e primo a colori, era stato girato per più di metà. Non vide mai la luce perché il 5 agosto di quell’anno, dopo 15 giorni di riprese, l’attore francese che impersonava Don Camillo dovette abbandonare il set dopo l’ennesimo malore (già dilaniato da un tumore, sarebbe morto pochi mesi dopo). Ma a quella data, il grosso del lavoro era già finito su pellicola. A colori. Milleduecento metri di nastro, secondo Gino Cervi (il Peppone del film), pari a poco più di 43 minuti. Su Fernandel, Cervi rivelò successivamente in un’intervista a “La Stampa”: “Aveva cercato di tirare avanti fino all’ ultimo, perché il film lo voleva finire…. Credo ho che sentisse che appariva sullo schermo per l’ultima volta, e col suo personaggio più caro. Era impaziente e fece una cosa strana: registrò in anticipo tutto il sonoro dell’intero film. Chissà, forse pensava che, se avesse dovuto rinunziare, il film avrebbe potuto esser portato a termine anche da una controfigura e il suo pubblico lo avrebbe riconosciuto e ricordato almeno dalla voce…”. Secondo lo stesso Fernandel, da una sua dichiarazione rilasciata dall’ospedale di Parma dove fu ricoverato dopo l’abbandono del set, di minuti ancora da girare ne rimanevano solo 35, il che fa presumere che oltre un’ora di film fosse già stato inciso su nastro. Emiliano Liuzzi (“Il Fatto Quotidiano”) nel 2014 riportò nell’articolo “Don Camillo, l’ultimo film nascosto in un caveau” la voce più accreditata dai produttori e dall’entourage cinematografico di allora: ossia che il lavoro era già quasi tutto compiuto e che mancavano solo 8 scene alla sua conclusione. Come si può notare, da queste 3 versioni che differiscono tra loro di poco (quella di Cervi appare comunque la più vicina alla verità) emerge che il lavoro, o quasi tutto o almeno più di metà, era stato già svolto. E ad attestarlo inequivocabilmente fu il fatto che attori e comparse furono regolarmente pagati come se il film fosse stato completato e che le Assicurazioni Lloyds di Londra liquidarono per intero alla Rizzoli (casa produttrice del film) il premio assicurativo relativo alla liquidazione del rischio per pagare le spese sostenute.
Entrambe le cose sarebbero difatti state impensabili di fronte a un lavoro appena iniziato. Terminare dunque le riprese del film con la sostituzione di Fernandel con un altro attore, una controfigura o riscrivendo un diverso finale, sarebbe stata la cosa più logica, in quanto meno dispendiosa e più conveniente (l’emotività per la scomparsa di Fernandel avrebbe inoltre garantito ancor più successo di quanto i film precedenti non avessero avuto). Fu la perplessità del regista Christian-Jaque, ma soprattutto la determinazione di Gino Cervi, a impedire tutto ciò. Legatissimo a Fernandel (i due cementarono la loro profonda amicizia nata sul set a suon di mangiate, bevute e risate, lavorando tanti anni insieme senza mai uno screzio), Cervi rifiutò categoricamente di continuare l’opera con un altro attore per rispetto all’amico scomparso (“Senza Fernandel non torno in scena. Morto lui, muore Don Camillo ma anche Peppone”). La produzione ci provò in tutti i modi, perché senza uno dei due attori principali il film si sarebbe comunque potuto portare a termine in qualche modo, ma senza entrambi contemporaneamente, assolutamente no. Gino Cervi fu tuttavia irremovibile. Ne fece una questione non di soldi ma di cuore, e resistette anche ad offerte economiche aggiuntive con la stessa determinazione che lo aveva portato, 50 anni prima, a marciare su Roma coi fascisti della prima ora come lui.
Alla Rizzoli non restò così che rifare tutto daccapo, con nuovi attori e nuovo regista. Ma il “Don Camillo e i giovani d’oggi” che uscirà nel 1972 non avrà nulla a che vedere coi 5 precedenti “Don Camillo” di Fernandel-Cervi e non riscuoterà neanche lontanamente il loro successo.
Quanto alla sorte del nastro girato nell’estate del 1970, mancano, oggi come allora, elementi certi. Si tratta di una pellicola ovviamente grezza, ossia mai “ripulita” e passata dalla fase di montaggio. Ma, sia che si tratti dei 43 minuti indicati da Cervi, dell’ora abbondante indicata da Fernandel o dell’almeno ora e un quarto quantificata dai produttori (“Mancavano solo 8 scene alla fine”), resta o resterebbe un documento cinematografico eccezionale. Sia perché l’unico a colori della saga, sia oggi a distanza di tanto tempo. Non volendo dar credito all’ipotesi che vuole che sia stato buttato o distrutto alla morte di Fernandel, né andato perso nell’incendio che distrusse i magazzini milanesi della Rizzoli nel 1985, preferiamo pensare che da qualche parte esista ancora. O nel caveau di qualche banca svizzera (come sostiene il figlio di Fernandel), o magari in uno scaffale abbandonato della Cineteca di Bologna (dove non è mai stato ufficialmente consegnato, ma dove, oggi come allora, è obbligatorio depositare una copia del “girato”per ottenere i contributi statali) o più verosimilmente a Londra, nei sotterranei delle Assicurazioni Lloyds. Liquidando il premio alla casa produttrice del film, queste erano difatti divenute proprietarie di tutto il girato fino a quel momento. “Questa teoria – si legge sul sito web “Il mondo di Don Camillo” - ha una sua logica: io ti pago il premio assicurativo, ma tu non hai più diritti economici sul girato, dato che l’hai considerato di fatto senza valore”.
“Quarant'anni – si legge nel bel libro di Fulvio Fulvi del 2015 “Il vero volto di Don Camillo” - sono tanti, troppi. E il rischio è che tutto vada perso se qualcuno, nel frattempo, non avesse già provveduto a duplicare o convertire il parlato (e il nastro) al digitale”.
C’è, infine, chi sostiene che sia la preziosa bobina che l’incisione della voce di Fernandel sia custodita dalla sua stessa famiglia, data la sua cura maniacale nel conservare e catalogare tutto. Ma ci appare una tesi inverosimile, dal momento che fino all’ultimo l’attore, al quale era stata nascosta la malattia, contava di riprendere il film e dunque in vita non avrebbe avuto alcun titolo nel richiedere o ottenere quel nastro incompiuto.
La speranza è che, ovunque si trovi ammesso che esista ancora, quel nastro salti fuori e sia fruibile ai milioni di ammiratori della saga di “Don Camillo” prima che sia tardi. E che gli finisca così meglio del Titanic, ritrovato in fondo al mare 90 anni dopo la sciagura e giusto in tempo, prima che i già corrosi ponti dello scafo - finendo per schiacciarsi fra loro - riducano quanto ne resta a irriconoscibile poltiglia senza forma. Cosa che avverrà, purtroppo, a breve.
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