Un piccolo museo per un grande italiano20/8/2021
Un piccolo museo per un grande italiano20/8/2021
di Giovanni Curatola
Nessuno mai, in Italia, come lui. Delle 7 grandi competizioni disputate dalla nazionale italiana di calcio sotto la sua guida nel periodo 1930-38 (2 Coppe del Mondo, 1 Olimpiade e 4 Coppe Internazionali), 5 sono state vinte (e sarebbero state verosimilmente 6 se la Coppa Internazionale del 1938 non fosse stata interrotta proprio nelle battute finali per motivi geo-politici) e la restante persa di misura in finale (Coppa Internazionale del 1932). Il nome del pluridecorato tecnico in questione è Vittorio Pozzo, giornalista ed ex ufficiale alpino, che dalla Grande Guerra ha importato in casa degli azzurri metodi militari e camerateschi. Autoritario ma al tempo stesso paternalistico coi “giuocatori suoi”, Pozzo ha avuto un solo, imperdonabile torto: vincere nel periodo sbagliato, in quel “deprecato” ventennio in cui anche i successi – e furono tanti - che di politico avevano ben poco (culturali, artistici, tecnologici o, per l’appunto, sportivi) e che da italiani dovrebbero ancora farci inorgoglire come lo fecero allora, vanno demoliti, sradicati tout-court dalla memoria collettiva o, laddove proprio non si può, quantomeno sminuiti e annacquati. Il giudizio e la condanna politica sono una cosa (e possono estendersi al limite all’ambito militare che ne consegue), la pretesa di azzerare vent’anni di vita italiana (e di successi altrettanto italiani) è un’altra. Un saluto romano fatto a inizio partita sminuisce forse il valore di una vittoria poi conseguita col sudore sul campo? Questo non è antifascismo, è idiozia. E’ una grossa ingiustizia verso onesti artefici di tante imprese, Vittorio Pozzo in primis. Quando, ed è storia recente, a Chicago c’è chi ha proposto di abbattere il monumento ad Italo Balbo, perché fascista, il sindaco della città americana si dichiarò disponibilissimo, ma a patto che gli venisse dimostrato che a compiere quell’epica trasvolata atlantica del 1933 non era stato Balbo, ma un altro al suo posto. “Per nuocere al fascismo – riconoscerà il deputato socialista Francesco Saverio Nitti nel dopoguerra alla Camera - noi abbiano fatto cosa pessima ai danni dell’Italia”.
Nel caso di Pozzo, è il motivo per cui in tutta Italia, tranne quello di Biella, non c’è oggi un solo stadio intitolato a lui. “Ah, perché – si chiede in tono polemico ma legittimo, nel video qui allegato, il bravo e noto giornalista Federico Buffa - non sono grandi calciatori? Non sono grandi allenatori? Ah, perché, tutte le volte che si parla di lui, sembra che lui facesse un discorso pre-partita in cui citava il fiume Piave e il fatto che lo straniero non potesse passare. E, secondo voi, si vincono 2 mondiali e un’Olimpiade (oltre a 2 Coppe Internazionali, aggiungiamo) se l’unico discorso che sai fare è quello?”. Buffa conclude etichettando Pozzo con 3 aggettivi lapidari: “commovente, forte, intangibile. E poi è quello che va a riconoscere i giocatori del Grande Torino in quel giorno infausto del 1949 (tragedia di Superga). E’ lui che corregge i carabinieri che stanno cercando di identificare i giocatori. E’ lui che tiene insieme i primi 50 anni del nostro ‘900 calcistico…”.
Un pomeriggio dell’agosto in corso, un tragitto paesaggisticamente campagnolo, ripetitivo ma riposante, conduce il sottoscritto e due piccoli rampolli al campo sportivo di Ponderano, sotto Biella. In questo Comune Pozzo ha vissuto i suoi primi anni, qui ha contribuito a fondare la locale sezione degli Alpini, qui infine riposa oggi. Dove dunque, se non qui, doveva sorgere il museo a lui dedicato? A compensare le ridotte dimensioni del locale (una sola stanza) è la disponibilità e cordialità del sig.Ermanno Rosso, presidente del Ponderano Calcio e vice-presidente del museo in questione, gestito dal Comune ed aperto appositamente per noi quel sabato pomeriggio. Pozzo alpino, Pozzo giornalista, Pozzo allenatore: le sezioni che compongono il locale, tutte arricchite da foto alle pareti, contengono cimeli rari e ricordi più o meno toccanti e impensabili: oltre alla sua macchina da scrivere, al suo rudimentale mangianastri, a quotidiani d’epoca (alcuni coi suoi scritti su “La Stampa” e “Il Secolo”), a maglie, e palloni da calcio, distintivi di squadre incontrate, tessere e documenti personali, medaglie e trofei, qui è esposto un piccolo frammento dell’aereo schiantatosi a Superga coi giocatori del Grande Torino, un cappello e un vessillo degli Alpini della Grande Guerra (3° reggimento, il suo) e dei regali ricevuti a seguito di alcune sue vittorie, tra cui una scultura lignea raffigurante un gallo francese (dopo la Coppa del Mondo del 1938) e un’effige di Adolf Hitler (Olimpiadi del 1936).
Infine, mentre l’oretta scarsa di visita al museo ha per i rampolli l’epilogo dolce delle patatine consumate al bar, quello del sottoscritto dal sig.Rosso è più amaro, col commento di quest’ultimo a due eventi legati alla “damnatio memoriae” argomentata a inizio articolo: il mancato minuto di silenzio osservato sui campi da calcio alla morte di Pozzo (1968) e il mancato intitolamento del nuovo stadio di Torino costruito per i Mondiali del 1990, dove al posto di Pozzo è stato preferito il più anonimo “Delle Alpi”.
Si suole dir spesso che la riconoscenza non è di questo mondo, ma in questo caso, non essendo i tanti trofei vinti da Pozzo né fascisti né antifascisti ma puramente sportivi, ripetiamo che trattasi di idiozia. Ahimè, tutta italiana…
Per visite al museo Vittorio Pozzo di Ponderano, chiamare al numero 015-541224 o scrivere a ponderano@ptb.provincia.biella.it
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