Il cancello di Mussolini fra treni, frontiere e malocchio14/5/2022
Il cancello di Mussolini fra treni, frontiere e malocchio14/5/2022
di Giovanni Curatola
Dici “cancello di Mussolini” e pensi subito a quello di villa Belmonte a Giulino di Mezzegra, davanti al quale la storia ufficiale tramanda che il capo del fascismo fu fucilato da partigiani appositamente giunti da Milano, alle 16.10 di quel piovigginoso sabato 28 aprile del 1945. Non di quel cancello parliamo qui, che continua a portarsi dietro mezza verità dal momento che, sì, vide la fucilazione di Mussolini e della Petacci a quell’ora di quel giorno, ma col particolare non indifferente che i due fucilati erano già cadaveri da almeno 6 ore. Si trattò in pratica di una finta esecuzione, inscenata contro due corpi fatti passare per vivi per coprire così, con una parvenza di legalità, eventi mattutini di tale scabrosità e imbarazzo da nuocere gravemente, se resi noti, sia ai partigiani lì protagonisti che alla Resistenza in genere.
Ad ogni modo, il cancello qui in questione è un altro. Non molto distante da quello sopra citato (ad una quarantina di chilometri) e sempre in provincia di Como. E’ conosciuto dagli abitanti della zona come “il cancello di Mussolini”, e non ha a che fare con morti. Almeno nel senso fisico del termine, perché una morte comunque c’entra: quella di una tratta ferroviaria.
Breve preambolo: corre l’anno 1916 (in piena I° Guerra Mondiale, dunque) quando gli imprenditori privati lombardi proprietari delle Ferrovie Nord Milano prolungano da Cairate-Lonate a Valmorea (a 3 km dal confine svizzero) la linea ferroviaria costruita 12 anni prima che parte da Castellanza (Varese), quasi raddoppiando così le stazioni interessate (da 9 a 16). Mentre per le linee Milano-laghi (Como e Varese) sono state costruite con l’obiettivo turistico di collegare i ricchi industriali del milanese con le proprie case di villeggiatura, qui l’interesse è principalmente economico, ossia collegare meglio e più celermente col capoluogo lombardo, via Saronno, gli opifici le cartiere sparse lungo l’Olona.
Nel 1926, col fascismo già al potere da 4 anni, la linea viene ulteriormente prolungata di una manciata di chilometri (da 30 a 37), penetrando così in territorio svizzero attraverso la piana di Santa Margherita così come già progettato da anni col governo elvetico, e lì terminando, dopo aver toccato 2 stazioni intermedie, a Mendrisio. L’inaugurazione della linea transfrontaliera avviene il 28 giugno.
L’internazionalità assunta dalla nuova linea dura però pochissimo. Alla luce di qualche frizione politico-diplomatica degli anni 1927-28, l’Italia non sottoscrive più un trattato commerciale con la Svizzera previsto proprio per sviluppare quella linea, dunque non più gradita al regime, che pure l’aveva avallata poco prima. A ciò si aggiunga un numero di passeggeri inferiore alle attese. Così il 2 maggio 1928, dopo appena 2 anni di servizio, la tratta passeggeri transfrontaliera per la Svizzera è abbandonata. Un possente cancello di ferro, il “cancello di Mussolini”, viene posizionato a mò di sbarramento sui binari della tratta, proprio sul punto di confine con la Svizzera. Dov’è tuttora.
Per qualche anno ancora continuerà un servizio merci per Valmorea (da qui il soprannome “ferrovia della Valmorea”) mentre dal 1° giugno la tratta viaggiatori italiana restante è addirittura “accorciata” al tragitto originario di 12 km del 1904: dalla stazione di Castellanza a quella di Carate-Lonate. Perso il carattere di un collegamento internazionale, e con una linea viaggiatori praticamente inesistente, la ferrovia della Valmorea diviene antieconomica per le Ferrovie Nord, che nel dopoguerra sopprimono il servizio. Fino agli anni ’70 resta in funzione solo quello merci, poi la crisi del settore della cellulosa si ripercuote sulle cartiere sparse lungo la tratta ferroviaria e il 16 luglio 1977 cessa anche questo servizio.
Si legge oggi sul sito dell’Associazione Amici della Ferrovia Valmorea: “Passano anni in cui l’infelicità e la tristezza regnano sulla ferrovia abbandonata. La linea viene ingoiata dalla natura: la vegetazione ricopre i binari e gli alvei dei fiumi e torrenti cambiano il loro tracciato naturale, facendo smottare i terrapieni e lasciando in alcuni punti i binari sospesi nel vuoto…”. Invece nella parte svizzera, la linea pur declassata al solo servizio merci non verrà mai abbandonata. “Alla fine del ‘900 – riporta ancora il sito – la linea inizia ad essere recuperata al traffico viaggiatori, come servizio turistico. Nel 1993 il Club del San Gottardo, un’associazione di appassionati di ferrovie del Ticino, si accorda con le Ferrovie Svizzere per gestire il servizio dei treni turistici da Mendrisio a Stabio. Nasce l’idea di aprire il vecchio cancello doganale e proseguire con il treno, anche solo per pochi metri, nel territorio italiano. Il 12 settembre 1993, il vecchio cancello (il “cancello di Mussolini”) si apre, permettendo lo sconfinamento di due convogli. Vengono percorsi solo pochi metri in territorio italiano, ma da quel giorno inizia il recupero della vecchia linea”.
Sul finire del secolo, anche da parte italiana si muove qualcosa e col supporto delle Ferrovie Nord, degli Enti territoriali, dei finanziamenti regionali e provinciali della Lombardia, è stato possibile recuperare e ristrutturare a fini turistici (2 treni con ciascuno 4 vagoni e una locomotrice a vapore d’epoca) quasi 8 chilometri della vecchia linea. Per una decina d’anni, nelle domeniche estive, la “ferrovia della Valmorea” torna dunque percorribile nel tratto Malnate-Mendrisio e viceversa. Nel 2009, un nuovo stop dovuto a lavori sia per il collegamento tra Arcisate e Stabio che per una grande diga che evitasse le inondazioni dell’Olona. Stop che ha meritato alla “ferrovia della Valmorea” il poco edificante appellativo di “ferrovia del malocchio”. Coi convogli fermi, lo scenario torna ad essere pure per i tratti ripristinati quello di erbacce e tristezze. Al malocchio fa dunque eco la nuova chiusura del “cancello di Mussolini”, il cui color grigio getta un’aria malinconica su una zona per altri versi stimolante (sentieri pedonali e ciclabili sul versante italiano, parco giochi su quello svizzero). La leggenda tramanda che col Duce i treni arrivassero sempre in orario, internazionali inclusi. A condizione, però, di non trovare cancelli sbarrati al confine.
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