Michele Cioffi - “L’amore torna sempre”24/8/2022

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Michele Cioffi - “L’amore torna sempre”24/8/2022

di Ilaria Solazzo
 
Ilaria Solazzo, giornalista pubblicista e blogger, ha intervistato per "Il giornale L’Ora" lo scrittore Michele Cioffi. Dalla chiacchierata è evidente il forte valore umano che accomuna l'intervistatrice e l'intervistato.
 
-Si è abituati a pensare solo a colui o colei affetta da patologia, ma il dispendio energetico elevato è anche di coloro che assistono H24. Com’è cambiata la tua vita da quando sei costantemente vicino al tuo papà?
Vivo nella disabilità di mio padre da oltre vent’anni, nel mezzo di questi lustri, ho visto spegnersi mia madre per una patologia degenerativa che in 4 anni l’ha divorata; non mi sono mai chiesto come la mia vita fosse cambiata giorno per giorno, ho cercato solo di donare loro una parte dell’amore che hanno sempre dato a me nel corso della mia vita. E’ evidente che la vita anche di chi offre assistenza cambi radicalmente, non solo a livello singolo ma anche di scelte familiari. Ma non ho mai vissuto tutto questo come un problema, piuttosto ho cercato solo di rimboccarmi le maniche e di fare. Non credo che ci siano altri verbi più appropriati di fare e costruire. Nella vita conta questo, il vero senso profondo è dare ampiezza ai nostri gesti. Chiunque ambisce ad una vita lunga, ma pochi rispondono alla domanda interiore di come gli anni della propria vita siano stati vissuti. Io ho cercato e cerco di dare Amore, anche al costo di rinunciare se così possiamo dire a tante cose più o meno superficiali che invece diventano fondamentali per gli altri. “Non avrai bisogno di chiedere” nasce come risposta a tutti quelli che nella mia vita vedendomi in difficoltà hanno pronunciato la famosa frase magica, “Michele se ti serve aiuto chiama mi raccomando!”.
 
-Una giornata tipo come si svolge?
Una mia giornata tipo dura 48 ore, nel senso che ogni ora ne vale per 2! Tra lavoro, famiglia, assistenza a mio padre e le attività legate al mio libro. Dormo pochissimo ma per necessità, ho fame di vita, a volte lo trovo un inutile dispersione di tempo. Certo ogni tanto vado in riserva anche io, ma dura poco per fortuna. Da quando è venuta a mancare mia madre, non ho mai lasciato mio padre una sola notte da solo, incastrando insieme alla mia famiglia orari, esigenze e problematiche e cercando di tenere un equilibrio non sempre facile da gestire. In un profondo momento di difficoltà mi ricordo che dissi ad un dottore che in realtà “io c’ero per tutti tranne che per me”. Per anni è stato così, pur non rinunciando mai ai miei sogni, non ho mai abbandonato l’idea che prima o poi tutto torna indietro come un capitolo del mio libro cerca di raccontare, “L’Amore torna Sempre”.
 
-Puoi spiegare ai lettori non addentrati con tale sfera assistenziale, la mancata assistenza delle istituzioni?
Devo dire che nel caso dell’handicap grave di mio padre, che ricordo essere cieco, ho la fortuna di avere un’associazione alle spalle che è l’Unione Ciechi Italiani ed Ipovedenti” che mai ci ha lasciato soli. E’ una grande famiglia, che in modo capillare cerca di farsi sentire presente anche con i piccoli ma significativi gesti. La difficoltà invece l’ho riscontrata negli anni di assistenza a mia madre, lì davvero per tanto tempo mi sono sentito solo, ma ricordo che dietro alle istituzioni ci sono degli uomini, e sono loro i veri responsabili spesso del lassismo burocratico. Il dolore va vissuto sulla propria pelle, non lo puoi raccontare se non lo hai attraversato, per questo la Sanità in Italia andrebbe messa nelle mani di persone non solo esperte nel proprio settore ma anche e soprattutto in grado di avere una sensibilità spiccata che possa far comprendere loro lo stato d’animo di chi soffre. Lo vivo costantemente ogni volta che varco la porta di Casa Ronald Palidoro del Bambino Gesù di Roma, li il mio sguardo incrocia quello di famiglie che oltre a vivere il dramma delle malattie dei propri bambini, hanno anche quello di sentirsi spesso abbandonati, alcuni perdono il lavoro, quasi tutti sono a centinaia di chilometri da casa. Dice bene il grande Don Luigi Verdi, che senso ha cercare di convincere le persone a credere in un Dio se poi camminando per strada ci si gira costantemente dall’altra parte ad una richiesta di aiuto?
 
-Grosso carico emozionale che si accumula negli anni. Un mix di paure e piccole gioie. Parlacene
Dico sempre che di tutti i Comandamenti, oltre a quelli ovviamente che spero possano essere messi in pratica da tutti, quello che più mi identifica nella mia esistenza è “Onora il Padre e la Madre”. Io sono fiero di quello che ho potuto fare per loro. Quindi, certamente in mezzo a tante paure, ho avuto la fortuna di potermi prendere cura quasi ogni giorno delle loro malattie. Ho accompagnato mia madre fino all’ultimo secondo fino a quando la sua Anima si è staccata ed è andata verso la luce. L’ho fatto tenendole la mano con il sorriso, perché scambievolmente c’eravamo dati tutto fino a quel momento, perché così mi è stato insegnato a fare. Le gioie sono quelle ancora oggi, di notare che mio padre possa avere ancora una piccola voglia di vivere, che necessariamente passa attraverso le mie cure ed il mio affetto e anche quello della mia famiglia, che ringrazio per avermi sempre supportato. Sicuramente negli anni, tutto questo carico emozionale mi ha reso più forte, ma soprattutto ha fatto accrescere in me quegli ideali di guardare verso il prossimo che dovrebbero essere alla base a mio avviso, del vivere comune.
 
-Tuo Padre come vive il suo status?
Mi piace definirlo un “eroe contemporaneo”. Da sempre è lui che imprime la forza a tutti, che indica la strada. Tutto ciò che sono lo devo a lui, al confronto anche duro che abbiamo, che serve ancora oggi a 46 anni ad aprire gli occhi quando lui riesce a fiutare un pericolo prima di me. Ci siamo dati e detti sempre tutto, è un rapporto straordinario, che da quando condivide con la cecità si è addirittura cementato ancor di più. Impossibile per lui lamentarsi, ha sempre cercato pur nello sconforto di essere rimasto cieco, di dare e fare un qualcosa in più. Pochi giorni fa, in una delle nostre chiacchierate, ad un certo punto mi dice: “Sai Michele sono diventato talmente cieco da non riconoscere più neanche il buio”. Ecco questo è mio padre, profondità, dignità, spessore umano, di chi è già pronto a prendere la luce della vita e che ricaccia indietro ogni forma di buio. E’ un esempio costante e anche per questo io lo amo dal profondo.
 
-Ti immagino come all’interno di una Matrioska, ti senti in quella piccolissima o in quella più grande?
Agli occhi della gente sicuramente in quella più grande, capace sempre di prendere sulle spalle i problemi di tutti e cercare di risolverli. Io invece Ilaria ti rispondo che mi vedo in quella piccolissima, che immagino come una sottopelle, la parte più vera di me che conoscono davvero in pochi. Io sono pieno di sfaccettature, a volte è difficile anche per me comprendere fino in fondo i miei innumerevoli stati d’animo. Non è semplice starmi accanto, sono un moto perpetuo di energie e idee. Ma nella Matrioska più piccola mi ci vedo soprattutto per la capacità di guardare oltre l’apparenza, di scavare in profondità nell’essenza delle cose e di saperne, non sempre ahimè, sentire il vero significato.
 
-Un capitolo del tuo libro si chiama “La Rinascita nella Rinuncia” è stato così nei confronti della tua scelta assistenziale verso tuo padre?
Quando dicevo che ci siamo dati davvero tutto nella nostra vita io e lui, intendevo anche questo, tutto nella nostra esistenza è circolare, tutto prima o poi torna. Quello che io ho fatto per lui, rinunciando al mio sogno di indossare la divisa della Marina Militare dopo 24 anni, in realtà l’aveva fatto lui 40 anni prima per me, rinunciando ad un posto di lavoro importante e remunerato, pur di starmi accanto nella fase più delicata della mia crescita. Quindi sì vero, da una parte il mio Cuore ha dovuto rinunciare, ma in quel preciso istante è rinato di luce nuova che ha portato poi negli ultimi anni tante cose meravigliose.
 
-Se dovessi indicare tre insegnamenti che ti ha donato e ti dona tuo padre costantemente, quale indicheresti?
Sicuramente il valore della dignità, niente conta di più al Mondo che avere rispetto per gli altri ma dapprima per se stessi. La dignità è un vestito che ci identifica in mezzo ai nostri simili, e calpestarla accettando a volte i comportamenti subdoli degli altri, sminuisce il nostro modo di essere. Il secondo insegnamento è che nella vita nulla ci è dovuto per grazia ricevuta, e che tutto va sudato, conquistato, desiderato e ottenuto con la parola LAVORO. Mi definisco sempre un figlio unico atipico, perché non avendomi fatto mancare nulla, mi è stato fatto capire fino dalla tenera età come ogni cosa avesse un valore, un costo sociale e materiale da rispettare e che soprattutto non avrei avuto un bis. Terzo e ultimo insegnamento è la capacità di non lamentarsi mai. E’ perfettamente inutile guardarsi indietro, fortunatamente siamo fatti per guardare avanti, per progredire, per cercare di migliorarci ogni santo giorno. Da parte mia, cerco di insegnare questi valori anche a mia figlia, che ha 14 anni ed oggi non è semplice per questi ragazzi crescere in modo sano. A mio padre, ai miei genitori in generale devo davvero tutto, e sono alla base di quante cose belle mi stanno arrivando dalla vita grazie a questo libro. Grazie Ilaria.
 
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