"Maledetta felicità" di Marianne Power

19 ottobre 2019

di Raffaella Iannece Bonora

Salve amici, oggi voglio parlarvi di un libro che mi è capitato fra le mani, o meglio, che mi è stato
messo letteralmente in braccio da una simpatica commessa, mentre ero alla ricerca di una lettura
leggera, frizzante e divertente: Maledetta felicità di Marianne Power. Iniziamo dalla trama, una
giornalista freelance di 36 anni, allegra e solare, che passa i sabato sera a bere e le mattine
successive a cercare una cura contro l’emicrania da sbornia, un bel giorno si rende conto che, in
realtà, nonostante l’apparente bella vita londinese, è una fallita. Non ha uno straccio di ragazzo, non
ha mai portato avanti una seria relazione, non ha mai, davvero, fatto carriera, non è in grado di
gestire il denaro. Il punto di non ritorno arriva una domenica quando, svegliandosi con i peggiori
postumi di sempre, decide di invertire la rotta e dare un senso alla sua vita. Stabilisce, così, di
iniziare a leggere sul serio i libri self-help che colleziona da anni ma che le sono stati più d’aiuto
come fermaporta che per altro.
Ecco, fin qui più o meno, abbiamo una trama che potrebbe sembrare anche simpatica e spinge il
lettore a chiedersi: e quindi? Iniziamo con qualche spoiler …
La cara Marianne decide di dedicarsi ad ogni libro per un mese della sua vita, iniziando con
Conosci le tue paure e vincile di Susan Jeffers, continuando con Soldi. Una storia d’amore di Kate
Northrup, dedicandosi alla terapia del rifiuto o ai consigli di Toy Robbins. Fin qui il libro può
sembrare anche interessante, in bilico fra Bridget Jones e, a sua volta, un ironico manuale self-help
ma … ma Marianne confonde il romanzo con il proprio diario personale. Nel tentativo, vano, di far
sorridere il lettore, circa ogni due righe troviamo lamentele sul suo peso, Marianne è una ragazza
insicura che si vede molto brutta, letteralmente ossessionata dal desiderio di essere più magra, più
ricca e avere denti dritti! “Sono grassa – non ho soldi – ho i denti storti” sono le parole che si
ripetono più spesso, un mantra che, velocemente, passa dal divertente all’insopportabile perché si
sa, una bella battuta fa ridere solo la prima volta che l’ascoltiamo. Nonostante ciò, decide di
superare le sue fobie posando nuda in un atelier. Continua ad ingrassare, almeno così dice lei, e
nessun manuale o convegno sembra essere in grado di convincerla a mangiare meglio o fare un
minimo di attività fisica, in compenso deciderà di lanciarsi da un aereo con il paracadute, parlare in
pubblico, fare un numero di stand-up comedy, invitare sconosciuti ad uscire … insomma ha
affrontato le sue fobie ma a “modo suo”, le sue vere paure, quelle legate al suo aspetto e al suo
denaro, sono rimaste lì, ber arpionate allo scoglio, aspetto che spinge il lettore a farsi due domande
sulla veridicità delle insolite avventure ma questo non ci interessa, sono dettagli della trama e
servono a guidarci verso l’epilogo. Ciò che disturba la lettura è, appunto, il forte effetto “diario”,
molti personaggi (per non dire quasi tutti, protagonista esclusa), sono appena abbozzati. Marianne
ha una serie di amiche e sorelle non perfettamente identificate che, ogni tanto, fra un capitolo e
l’altro, spuntano come funghi. Ma chi sono? Che aspetto hanno? Spende pochissime parole per un
paio di loro e per la sorella che vive in America. Questa caratteristica genera soltanto confusione nel
lettore che, ad un certo punto, stanco di mettersi lì a capire chi sia chi, come in uno strambo Cluedo,
decide di andare avanti e “vaffa” (come suggerisce John C.Parkin nel suo F**k it. L’ultima
frontiera della spiritualità). In questo, Maledetta felicità rispecchia la sua scrittrice, confusionario, a
tratti energico, ad altri depressivo. Nell’insieme, la lezione che offre è positiva, dimostra che se una
persona non sa gestire sé stessa nessun libro, manuale, incontro, convegno potrà aiutarla. Marianne,
infatti, ricorda la tipica personalità bipolare e dunque anche il libro è, a modo suo, doppio, da un
lato figuracce e follie, dall’altro giornate di apatia e tristezza. Il punto è che il passaggio è così
repentino da non offrire al lettore la possibilità di abituarsi al cambio di registro, fa dei salti
pindarici da un argomento all’altro, un momento è in crisi per le migliaia di sterline di debito, un
attimo dopo si regala una vacanza in Italia. Non finisce qui, i frammenti “divertenti” in realtà non lo sono, risultano semplicemente esagerati, uno sforzo da parte dell’autrice che, probabilmente oltre al
self help, deve aver letto molti romanzi di Kinsella ma lo stile non si copia. Il volume, ad un certo
punto, rischia di diventare un patchwork di tutti i manuali self –help letti dall’autrice, con la
ripetizione asfissiante di “Tizio dice che …” col nome del “guru” del momento. Del resto non
possiamo essere troppo severi, questo è il primo libro della Power e ci sono anche note positive, ci
insegna che a volte, nella corsa a raggiungere la perfezione, perdiamo di vista le cose più
importanti, che essere concentrati totalmente su noi stessi non è affatto un bene, anzi, l’eccessiva
analisi non fa altro che farci cadere in una spirale di suggestione e autocritica che sembra non avere
via d’uscita. Marianne, infatti, entra nel self-help ed esce dalla sua vita, perde amici, familiari e
anche il lavoro, insieme alle sue finanze, ne risente pericolosamente. Affronta, con i suoi lettori, il
tema della depressione, anche se, forse, è troppo leggera sull’aspetto farmacologico. Il percorso self
– help non termina, si arresta per un breve periodo, forse il più buio di Marianne, ma poi torna alla
carica con filosofie di chiara origine buddhista ( presentate come innovative idee di qualche
scrittore contemporaneo), con la solita nenia peso – soldi – denti e con le voci negative nella sua
testa che, afferma di aver sconfitto grazie all’ennesimo volume, ma invece sono ancora lì, a
torturarla e renderla insicura riguardo gli uomini. Stanca anche lei di tutto questo spirito, decide di
dedicarsi un po’ alla carne e ci offre qualche simpatica sbirciatina sui suoi rendez – vous al buio,
uno più tragicomico dell’altro. Nonostante tutto, non credo che Maledetta felicità sia un libro da
cestinare, anzi, solo va affrontato come ciò che è e non come si presenta: diario autobiografico, non
romanzo. Marianne offre tantissimi spunti di riflessione, ripete fino all’ennesima potenza che,
fondamentalmente, ognuno di noi spesso si lamenta di problemi che non esistono e queste circa
quattrocento pagine sono piene di belle frasi, aforismi simpatici per qualche link su facebook. Una
ventata di originalità ci colpisce all’inizio e alla fine, trovo spiritoso il modo in cui fa partire il
primo e il sedicesimo capitolo, a faccenda già avvenuta al lettore non resta altro che capire
l’accaduto giudicando l’atteggiamento dei presenti e leggendo tra le righe di Marianne, un
escamotage che incuriosisce e spinge a leggere sempre di più. Altra parola positiva voglio spenderla
per i ringraziamenti, su questi non spiffererò nemmeno mezzo spoiler ma, quando li leggerete, sono
certa che sorriderete come me e penserete “ah, però, simpatica come idea”.
Dopo un anno in compagnia di Marianne e dei sui libri, la domanda che ogni lettore si pone è: “in
definitiva, il self – help aiuta?” Ed è la stessa cosa che si chiede anche la Power, nelle ultime
pagine, per la risposta però, mi sa, dovrete leggerlo. Sappiate solo che il self – help non è quello che
ci immaginiamo ed in questo Marianne è brava. Con la sua altalena di sentimenti, di follie, di
emozioni, Marianne ci condensa, in poche pagine, un anno di dura vita, più dura di quanto
potremmo pensare. Si, in questo Marianne è brava, a nascondere inizialmente grossi problemi, farli
emergere tutti insieme all’improvviso e trovare una soluzione verso la fine, che non è la soluzione
che ci aspetteremmo. In definitiva, ne è valsa la pena leggerlo? Come scrive la stessa Marianne nel
suo diciottesimo capitolo, riferendosi ai suoi manuali “ogni pagina conteneva una pillola di
saggezza. Come tutti i libri che avevo letto, in fondo. Perfino quelli che non mi piacevano avevano
qualcosa da offrire, una parte di verità. Qualcosa in grado di farmi vedere il mondo in modo
diverso”. E quindi si, io consiglio Maledetta felicità perché solo alla fine si comprende, si
comprende davvero, perché qualche volta si è fatto odiare, perché lo abbiamo abbandonato per un paio di giorni prima di ripescarlo, perchè ci siamo chieste "ma li vale i soldi che ho speso?". Vedrete che in fondo, dopo averla detestata, la Power vi mancherà. 
 
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