CON FLAVIO BUCCI AL CHIARO DI LUNA
19 febbraio 2020
di Raffaella Iannece Bonora
Flavio Bucci è morto oggi martedì 18 febbraio 2020. La nostra giornalista Raffaella Iannece Bonora lo aveva intervistato per www.ilgiornaledelricordo.it a fine luglio a Eboli nel corso di una rassegna teatrale.
La seconda serata di Treatri – Festival del teatro indipendente della città di Eboli, è stata un gran successo, ospite d’onore l’attore, doppiatore, produttore cinematografico Flavio Bucci. All’arrivo del maestro la platea si è sciolta in un caloroso applauso, tutti abbiamo ammirato, e ammiriamo ancora oggi, la carriera di Bucci, costellata da infiniti successi, dal primo film che lo lanciò nel mondo della settima arte, La classe operaia va in paradiso, a Suspiria, da Il marchese del Grillo a Il divo, e queste sono soltanto alcune delle circa cinquanta pellicole alle quali il maestro ha partecipato. La maggior parte, però, lo ricorda per un celebre ed emozionante sceneggiato del 1977, dove Flavio Bucci, diretto da Salvatore Nocita, vestiva i panni dell’eclettico pittore Ligabue. Accanto al lavoro dietro la macchina da presa camminava, sullo stesso binario, quello sulle assi del palcoscenico, suo primo amore, per citarne qualcuna ricordiamo Le memorie di un pazzo di Gogol, Uno, nessuno e centomila, Chi ha paura di Viriginia Woolf?, Riccardo III e Opinioni di un clown di Heinrich Boll. E non dimentichiamo che ha dato la voce ad attori di fama internazionale come John Travolta, Sylvester Stallone, Gérard Depardieu e molti altri. Ho avuto l’onore di potermi sedere allo stesso tavolo con questo grande artista, che ha visto compiersi, e lui stesso ne è stato protagonista, la storia dello spettacolo italiano, ho provato ad intervistarlo ma non ce l’ho fatta, al contrario ho preferito ascoltarlo. Una chiacchierata insieme a Flavio Bucci è una di quelle esperienze che racconteremo ai nipotini, oltre il grande attore ho avuto modo di apprezzare il grande uomo, una persona alla mano, con la quale ho riso fra un aneddoto e l’altro, molto gentile, simpatico, socievole, un artista geniale non semplicemente sul curriculum, ma in tutto. Dai suoi ricordi, dal suo modo di parlare, di raccontare, traspariva quella grandezza che ci ha sempre rapiti sul grande e piccolo schermo. Quando gli ho chiesto di parlarmi un po’ della sua carriera mi ha risposto “ho fatto davvero tanti lavori e mi sono piaciuti tutti, ho avuto anche la fortuna di conoscere grandi personaggi, grandi registi che, ovviamente, mi hanno dato tanto, inutile negarlo, non bisogna mai cadere in quel falso atteggiamento in cui crediamo che sia tutto merito nostro, in realtà non è vero. È ovvio che gli incontri, soprattutto con certi registi, sono fondamentali, nel mio caso l’incontro fondamentale è stato quello con Elio Petri e, dopo di lui con molti altri. Ovvio che ci siano dei personaggi ai quali si è più legati o meno, anche umanamente intendo dire. Nel nostro mondo si lavora principalmente per il successo, se non ce l’hai significa che qualche cosa non funziona, fa parte del mestiere, chi mente lo fa sapendo di mentire, è una grande bugia, altrimenti perché lavoriamo tanto? Più si sale in alto più si ha la possibilità di comunicare. Per arrivare in alto, però, bisogna essere in grado, nel corso degli anni, di valutare, di capire l’indirizzo del pubblico.” Poi siamo tornati indietro con le lancette, al suo primo incontro con il mondo dello spettacolo “Ci sono tante cose che ci portiamo dentro e le analizzo oggi, alla soglia dei settantatre anni. Sono nato in un paese dove non c’era ancora la televisione, era il 1947, abitavo a Torino e, all’epoca, l’unico modo per guardarla era andare nei bar. Ricordo mio nonno che, durante il dopoguerra, si recava in questi locali per guardare programmi come Lascia o Raddoppia, in pratica parliamo degli inizi della televisione italiana. Mi sono avvicinato al mondo della recitazione perché, quando ero un ragazzino, vicino casa mia, a Torino, c’era il Cinema Teatro Maffei, dove adesso ho scoperto che proiettano solo film a luci rosse. Per un ragazzino, soprattutto della mia generazione, il cinema era il mondo, l’intero pianeta Terra. In quanti posti siamo stati dove non siamo mai stati e non andremo mai, ma li abbiamo vissuti attraverso il cinema? In quel periodo c’era la rivista, le ballerine, i primi contatti con la sessualità, poi c’erano i comici, la risata, era un cinema di quartiere del dopoguerra e, per questo, estremamente popolare. Accanto a queste realtà brillavano i grandi teatri come l’Alfieri di Torino dove si esibivano i comici più celebri ma un biglietto in questi posti costava cinquantamila lire negli anni in cui si cantava Se potessi avere mille lire al mese.” E poi, cos’è accaduto dopo questo primo colpo di fulmine? “Dopo il servizio militare da Torino mi trasferii a Roma, del resto il cinema si faceva nella capitale, lo stesso valeva per il teatro e per la televisione dove, però, sono approdato diversi anni dopo. Nel bene o nel male il centro era Roma, con i suoi grandi Studios, De Laurentiis, Ponti e tanti altri che hanno scritto la storia del cinema anche se, in effetti, il cinema nasce a Torino ben prima della mia venuta al mondo. La cosa più incredibile di quel periodo fu proprio il mio arrivo nella capitale. Giunsi a Roma e, la prima persona che andai a cercare fu Gianmaria Volonté perché i miei genitori erano amici della madre di Gianmaria e mi dissero di andarlo a cercare, un’avventura che non dimenticherò mai. A Roma dormivo in una piccola pensione nei pressi di Piazza Navona, pagavo mille lire al giorno, andai a bussare alla porta di Volonté che abitava al Vicolo del Moro a Trastevere. Lui non mi fece neanche entrare in casa, mi accolse con un “so chi sei, vieni con me”, mi afferrò e mi trascinò ad una sede del Partito Comunista Italiano per farmi tesserare.” Ed altre avventure indelebili? “Altro episodio indimenticabile, il mio giro in barca sempre con Gianmaria Volonté. Lui era un velista nato, adorava la barca a vela così mi chiese di accompagnarlo ed io, ovviamente, ero euforico. Un viaggio da incubo, io lui ed un marinaio, ogni volta si incagliava l’ancora, lui si tuffava e io lassù a temere che non riemergesse. È stato un viaggio talmente allucinante che, arrivato a Santa Maria, con la scusa di comprare le sigarette sono tornato a casa in aereo. Altro incontro memorabile quello con Marco Ferreri quando doppiavo Gerard Depardieu. Ferreri era un artista geniale, ogni volta che mi incontrava diceva “bravo, te vedo pallido, stai male! Te devi fa na vacanza! Nun te devi preoccupà, te affittò la barca”, aveva una trenta metri con otto marinai e l’affittava a quindici milioni di lire al giorno. Quando doppiavo Depardieu e mi recavo all’International Recording, il suo braccio destro, Giussani, colui che si occupava della retribuzione, non mi guardava mai in faccia, stava sempre appoggiato al bancone del bar, di spalle. Io chiedevo sempre il doppio rispetto all’offerta e, quando gli veniva riferito, lui, senza mai guardarmi negli occhi, urlava soltanto “è pazzo, è pazzo, non tratto su ste cifre! È pazzo!” nonostante questo, alla fin fine a Depardieu l’ho sempre doppiato io.”Altro incontro memorabile quello con Pertini che mi apostrofava dicendo “sempre con queste parrucche” e mi tirava i capelli.” A questo punto chiedo al maestro un suo parere su Treatri e sulla cultura teatrale oggi, cosa bisogna cambiare? Da dove partire per migliorare? “Questa è una domanda che merita uno studio più approfondito. La rappresentazione di questa seconda serata, lo spettacolo Napoli milionaria di un grande come Eduardo, si incastona in un genere, in una realtà, che dovrebbe legarsi soprattutto ai giovani, che dovrebbe riuscire a trascinarli a teatro, magari a farlo ma almeno a vederlo, la partecipazione è un viaggio che si fa insieme. D’altro canto, di fronte a questo tipo di materiale posso dire che si, ci troviamo di fronte alla storia, perlomeno del nostro paese, noi abbiamo avuto due grandi geni, uno era Eduardo De Filippo e l’altro Dario Fo, del novecento perlomeno. Un aspetto sconvolgente del nostro Paese è che non si insegna mai teatro a scuola, oppure li portano a guardare qualche spettacolo in un’età sbagliata, per riposarsi un paio d’ore. I ragazzi andrebbero portati a teatro fra i venti e i venticinque anni, un ragazzino non ha voglia di studiare, ha voglia di giocare a pallone, ogni età ha le sue necessità.” Le chiacchiere scorrono come il buon vino durante una festa ma è l’una di notte, mi permetto di azzardare un’ultima domanda “Ad ottobre la rivedremo sul grande schermo nella pellicola di Luca Guardabascio “Credo in un solo padre” …” e, in un tempo comico che sembra studiato a tavolino, con una battuta da perfetta e memorabile chiusa teatrale, Bucci strappa a tutti un’ultima risata “Non posso di certo chiamare brocco un mio cavallo.” Fosse stato su un palcoscenico, ci saremmo tutti alzati per una standing ovation.
Ad ottobre, dunque, lo rivedremo al cinema nell’ultima pellicola di Guardabascio, tratta dal libro di Michele Ferruccio Tuozzo “Senza far rumore”, che racconta una storia di violenza realmente accaduta. In attesa di questo importante appuntamento in sala, potete ancora godere di altre ben due date di Treatri, domenica 28 e lunedì 29 luglio, ad Eboli presso l’Arena Sant’Antonio.
Flavio Bucci, Torino 25 Maggio 1947 – Passoscuro (Roma) 18 Febbraio 2020
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