L'ANARCHICO VENDITTI INCANTA PALERMO

26 settembre 2017

di Giovanni Curatola

Un ricco repertorio, 26 brani quasi tutti conosciuti dalla platea e che hanno abbracciato 50 anni di carriera dagli anni ’60 al decennio attuale. Un nugolo di monologhi filosofico-politici più o meno sensati che il Venditti nazionale ha inframezzato fra un brano e un altro. Un azzeccatissimo mix di luci verdi e blu, che a parte brevi giochi di altri colori ha fatto da fondale pressoché fisso allo spettacolo. Infine, il sax, vero mattatore della serata, che tra squisiti assoli e originali accompagnamenti ha deliziato i 3.000 del teatro all’aperto “Verdura”, rubando a tratti l’intera scena al cantautore romano.

I pilastri su cui si è retto questo concerto di inizio autunno di Antonello Venditti a Palermo sono questi quattro. E il pubblico, anagraficamente più vicino all’età del cantautore che a quelli dei teenagers, ha gradito, accompagnando con voce più o meno a bassa la voce proveniente dal palco. Forse i primissimi brani composti dal cantautore ancora adolescente, come “Sora Rosa” e “Marta”, sono risultati i meno conosciuti. Poi da “Bomba o non bomba” in poi, secondo il rigoroso ordine cronologico del percorso evolutivo dell’artista, è stato un accompagnamento generale, culminato con la ballabile “In questo mondo di ladri” e le intramontabili note melodiche di icone come “Alta marea”, “Amici mai” e “Ricordati di me”, che hanno chiuso il concerto. Il repertorio legato alle donne (“Lilly”, “Marta”, “Sara” e “Giulia”) ha dato spunto a Venditti per disquisizioni su argomenti più o meno nobili come droga, libertà, amore e meridione d’Italia, così come occasione di ulteriori riflessioni sono state l’evergreen “Notte prima degli esami” (la canzone con la C maiuscola, quella per cui già sa che sarà ricordato post mortem), “Peppino” e “Dalla pelle al cuore”.

Nelle due ore abbondanti di musica ed esternazioni personali, anche tentativi ben riusciti di ingraziarsi il pubblico (“Oggi non c’è concerto senza che intervenga un ospite. Ma quali ospiti? I miei ospiti siete voi”), sprazzi di umiltà (“Scrivo canzoni quando perdo, nei momenti in cui vinco sarebbe troppo facile”), autocritica (“A scuola ero grasso e non mi filava nessuna”), attestazioni di amore (verosimilmente autentiche) per la Sicilia e per l’anarchia (“Frequentavo i “compagni” prima che mio padre mi facesse ravvedere, ma più che “compagno” ero un anarchico, proprio come lui”). Un sdoganamento dagli steccati della sinistra in perfetta linea con le commoventi note di “Compagni di scuola”, cantata a metà concerto, “dove Nietsche e Marx”, parlando al bar di ragazze, riescono perfino a darsi la mano…

 

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