CERCANDO LA FELICITA'
17 dicembre 2017
di Catia Capobianchi
«Eccomi qua, seduta sulla riva del mare a guardare le onde che galoppano a ritmo sfrenato; come guerrieri impavidi si lanciano verso la costa, trascinando con sé i resti dell’odio, del rancore, di un amore sofferto, odiato, amato, rincorso e perso. Cuori spezzati si riversano sulla sabbia in cerca della loro metà. Lacrime piovono sui sassi, che alla luce del sole s’illuminano di splendidi colori, che evaporano troppo in fretta per ammirare la lucentezza, come flirt estivi che lascia i tuoi occhi opachi, dove prima il sole brillava di una luce intensa.
Lontano, un'altra onda più possente delle altre corre velocissimo verso di me, incrementando con l’avvicinarsi, un brivido che sboccia nell’angoscia al pensiero che possa travolgermi. Penso di alzarmi per allontanarmi ma, rimango calamitata in un bagno freddo che trasuda dalle mie vesti. L’unica cosa che riesco a fare è, di continuare a osservare l’esercito di gelo avvicinarsi velocemente, ringhiando con il vento che ha issato le nuvole sopra il mio cuore. Quanto ci vorrà prima che possa afferrarmi rubandomi alla luce, per portarmi nell’oscurità più profonda dell’inconscio dove non hai il potere di scegliere. Forse, mi solleverò da questa spiaggia umida che mi attanaglia nel passato all’ultimo istante, e fuggirò lontano. Oppure mi lascerò portare via gridando inutilmente invocando aiuto agli Dei, o, mi volterò indietro nella speranza che qualcuno si accorga di me, strappandomi a un’atroce sorte. O forse il terrore fulminerà la mia mente, concependo l’inarrestabile morte che avanza spietata, e rassegnata mi concederò al destino. Che ne sarà di me, del mio corpo, della mia mente, della mia anima. I pensieri, ricordi, gesti, gli sforzi contro le ostilità e quegli effimeri momenti di felicità, in cui l’amore mi fece assaggiare il suo dolce sapore. Finirà tutto questo con la mia vita o, un’altra porta si aprirà nell’Eden della felicità. Quanto tempo ci vorrà? Minuti, secondi? Rivedrò la mia vita in una proiezione accelerata, o, rammenterò solo momenti clamorosi? Magari non penserò niente o forse, mi maledirò per non aver tentato di salvare la mia anima, per non
essermi messa in discussione sfidando l’onnipotente natura, per cercare di espiare i miei errori dovuti all’ingenuità, davanti a un mondo che corre in un mare di falsità. Sentirò l’acqua gelida perforare la mia carne, penetrarmi fino a otturare i pori, e quando non avrò più un’oncia di respiro, mi attaccherò all’ultima bolla d’aria annaspando, ansimando e soffocando. Le onde giocheranno con il mio corpo,
ribaltandomi e rigirandomi, fino a che il mio cuore si staccherà dal guscio e sgretolandosi si perderà tra le correnti. L’ultimo battito segnerà e troncherà questa inutile vita, che si nutre solo di ricordi. Ricordi che ora, ne concepisco l’importanza perché uno dietro l’altro mi ha sollevata per quella che sono. Quante volte mi sono detta: vorrei tornare indietro, vorrei cambiare tutto, non avrei voluto incontrare quella
persona né l’atra. Non avrei dovuto dire sì, non avrei dovuto decidere in modo affrettato senza riflettere alle conseguenze, e non avrei dovuto coltivare amicizie sterili, perché quel giorno mi sentivo sola. Non mi sarei dovuta innamorare, senza prima di conoscere la persona che mi stava corteggiando. Avrei dovuto prima sodare chi era, registrarmi nella razionalità per capire cosa volesse e, se desiderasse lasciarsi amare e soprattutto, se sapesse amare. Se avrebbe recitato una squallida finzione per un’ennesima conquista solo per annoverare il suo harem, e aumentare la sua vanità. Avrei dovuto mandare a quel paese chi, fingendo un affetto mi ha usato, e avrei dovuto oppormi alle cattiverie, ai dispetti, alle accuse, facendomi sentire in colpa: di cosa? Una cosa però l’ho capito, molti imperversano i sentimenti, la tua personalità, vomitando cattiverie, facendoti sentire una nullità solo per deviare le loro colpe, i loro sbagli, la loro inferiorità davanti all’impotenza che gli opprime, e tu, sei il capro espiatorio delle loro mancanze, delle loro sconfitte, la martire. Una persona da mettere in croce, per poi nella più ambigua meschinità, inginocchiandoti dinanzi, ti supplica ambiguamente di fare da tramite attraverso il signore, di non abbandonare la loro anima nel vuoto. Che stupida che sono, aver capito solo ora il macabro meccanismo che gira come una ruota, che sentenza il destino nel bene e male! E non posso nemmeno dire: «Meglio tardi che mai!» Giacché i secondi scandiscono acidi, il tempo rimanente che non risparmia, correndo velocemente lungo il binario della vita. Se non avessi provato, toccato, sentito, ingoiato, le esperienze che edificano una vita, se non avessi pianto, riso, urlato, imprecato, rimpianto, io non sarei quella che sono. Già, chi sono? Una donna che ha fatto delle scelte! Giuste o sbagliate, solo l’onnipotente potrà giudicare. I miei pensieri lungimiranti mi avvertivano che quella non era la strada giusta ma ahimè, l’incosciente pubertà non conosce esperienza: il dilemma è, avrei dovuto ascoltare il mio cuore che a volte è più razionale della mente? Mentre quest’ultima confusa voleva spiegarsi sulle vele dei pensieri, in parole! Le mie gambe volevano correre, e invece camminarono a brevi passi felpati dietro il fiume grigio, che l’uomo nel tempo ha addensato in una melma viscida, facendomi perdere l'equilibrio, cadendo lungo il precipizio dove ora mi trovo. Però forse posso ancora deviare il mio destino! Forse, posso tacciare l’asfalto disastrato, in cui le mie impronte trascinano penosi ricordi, in uno scivolo verso un orizzonte annebbiato. Non voglio né posso cancellare i miei passi, perché non sarei più me stessa, ma vorrei poter scoprire chi sono. Dopo aver camminato una vita nella nebbia travolta e sottomessa da un destino arlecchino, che mi ha attanagliato tra vane illusioni nella speranza che qualcosa cambiasse, un miraggio ha abbagliato la mia mente e il cuore lo segue. Il mare sembrava essersi addormentato, come se i miei pensieri lo avessero cullato, solo il vento spira lieve, suggerendo sinfonie alle sirene. Ammagliata davanti al quadro, ammiro la natura che ogni giorno dipinge attraverso il mistero che la circonda, nuove sfumature in un fantastico mondo, dove una distesa di fiori stilla essenze sublimi, e canto canzoni al cielo, i miei sospiri. Il sole e la luna, amanti e complici si attendono fedeli nello stesso punto, alla stessa ora, in una danza, dove si corteggiano, promettendo eterno amore. Sogno di scrivere poesie sulla sabbia e, come una brava oratrice, poetare le mie strofe al vento e al mare. Stranamente mi sento felice al pensiero che correrò, urlerò, canterò, godendo dell’intimità, che solo il mare al tramonto, nel suo deserto ricco di vita può darmi. Respirerò l’odore della salsedine che solo da ragazza riusciva a saziare i sogni, immedesimandomi nella spensieratezza che fu fonte di vita, di esistenza verso il futuro, gioendo e coltivando nuove speranze. Nel frattempo il cielo si è aperto riflettendo stelle sull’acqua. Mi alzo per sentire la freschezza dell’acqua che m’ipnotizza oltre il confine, dove il mio cuore vede il cielo costruire una linea. Mi accingo lentamente per assaporare la sensazione che l’acqua mi donerà, sto per chinarmi quando una mano calda afferra la mia. Mi volto per guardare chi ha preso la mia mano, e con grande stupore, vidi la spensieratezza verso il futuro. Non ci fu bisogno di parlare, perché i nostri occhi lessero in entrambi, la sofferenza ma, anche il desiderio di ricominciare. Il mare ondeggiò leggiadro, il vento spirò caldo. Tenendoci per mano sentimmo le vibrazioni attraversare i nostri corpi, gli amari ricordi furono assorbiti dalla sabbia. Nuove sensazioni esplosero in una miriade di speranze, pensieri impazziti trovarono una ragione a quella folle emozione che ci rapì nell’estasi di un sogno, che entrambi sapevamo che sarebbe divenuto realtà. Camminammo lungo la riva guardandoci per non perdere i nostri occhi: più che camminare volavamo. Fu un volo che non approdò in amori sofferti, in amori dove l’orgoglio distrugge la fantasia, dove l’amore non si perde a un crocevia, dove il compromesso è un obbligo. Tutto avvenne da sé, con la spontaneità che solo la purezza di un vero amore, recide liti verso un dialogo che unisce, rafforza i sentimenti. Quel giorno tanto odiato, dove versai il dolore al mare, divenne il giorno più fantastico della mia vita.» Pollon lesse con gli occhi lucidi la lettera, commuovendosi e, le diede modo di comprendere che una madre è una donna, che trovò il suo amore quando meno se lo aspettava. Rimise la lettera dentro il cofanetto e lo portò dinanzi la tomba di suo padre, accanto alla madre. Poi rivolse il suo sguardo verso il cielo, e vide una cometa. Espresse un desiderio, che fu quello di riabbracciare un giorno i genitori. Chiamò Forex il suo cane, e andò a passeggiare in riva al mare. Si sentiva sola, triste, perché anche lei come sua madre, aveva perso le speranze di incontrare un uomo che la amasse e volesse farsi amare. Il peso della sofferenza la ingobbiva disilludendola da ogni speranza. Il sole lentamente calava, il suo sguardo apatico camminava attraverso pensieri astratti. Era giunta l’ora di tornare a casa, quindi chiamò Forex notando che stava correndo assieme a un altro cane. In lontananza vide un uomo che cercava di riprendere il suo cane, ma questi fuggivano a ogni richiamo. Per tanto Pollon cercò di richiamare Alex, che non gli diede ascolto. Pollon e l’uomo si ritrovarono vicini e, scusandosi a vicenda si chiesero che cosa gli fosse preso ai loro cani. L’uomo vedendo il volto di Pollon sorrise e, leggermente imbarazzato si presentò dicendo di chiamarsi Eros. Entrambi risero, e i cani birbantelli si accucciarono ai loro piedi. Così Pollon ed Eros si accinsero a mettere il guinzaglio ai loro cani ma, appena ci provarono, questi si alzarono e si proiettarono correndo verso una direzione. Eros e Pollon li rincorsero ridendo della situazione, sembrava che i due cani non volessero distaccarsi. Arrivarono inseguendo i cani, a un piccolo ristorante eretto su delle palafitte. La notte era scesa illuminando il cielo di una miriade di stelle, i due stanchi dalla corsa, unanimi proposero di fermarsi a stuzzicare qualcosa. Il posto era molto accogliente, un gran camino illuminava l’ambiente in un’atmosfera molto intima. Chiesero al padrone del locale se potessero far entrare i loro cani; uno strano tipo dai lunghi baffi minuziosamente curati, che rammentavano l’espressione un po’ folle di Salvador Dalì. Questi non si oppose anzi, portò delle ciotole con alcuni avanzi per i cani, dopo aver fatto accomodare i signori al tavolo. Eros e Pollon mangiarono gustando ogni pietanza e, parlarono senza accorgersi del tempo che trascorreva piacevolmente. Parlarono e parlarono, finché una vocina bisbigliò che era giunto il momento di aprire i loro cuori. Le loro mani s’incontrarono e, come un fulmine a ciel sereno nacque l’amore. Uscirono dal ristorante dopo aver ringraziato il padrone per l’ospitalità e il buon cibo. I cani l’uno accanto all’altro seguirono i padroni, lungo la strada del destino che li aveva fatti incontrare.
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News » Il racconto della Domenica | domenica 17 dicembre 2017
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