FARA E IL SUO CAPPELLO

05 novembre 2017

di Maria Lidia Petrulli

 

Bisogna trovare

Il proprio sogno

Perché la strada diventi facile.

Ma non esiste un sogno perpetuo.

Ogni sogno cede il posto

A un sogno nuovo, e non bisogna volerne

Trattenere alcuno.

 H. Hesse

CAPITOLO I

 

«Donna Filippa, che piacere rivedervi, gira voce che stavate poco bene».

«Salute a voi, compare Giuseppe. Che volete, dovrei stare ancora a letto, ma questi figli, bisogna stare attenti a questi figli».

L’uomo rise senza malizia alcuna, portava il cappello, il baffo e la cravatta che gli davano l’aspetto di un signore distinto.

«I figli maschi sono grandi, Donna Filippa, non dovete preoccuparvi più per loro, e le femmine stanno crescendo bene, che se le incontri tengono gli occhi bassi da brave signorine».

Donna Filippa aggrottò le sopracciglia folte in uno sguardo sospettoso: «Le figlie femmine sono una benedizione del Signore quando sono modeste, obbedienti e oneste, e io non mi posso lamentare, ma Dio solo sa quanto lavoro e quanta pazienza costano a una madre; non bisogna mai perderle d’occhio e tenerle sempre occupate, non si sa mai cosa passa nella testa delle figlie femmine. Innamorati e serenate sono pericolosi a quest’età».

Giuseppe rise, sinceramente divertito da quel troppo preoccuparsi: «Soprattutto quando sono belle come le vostre figlie, Donna Filippa?».

C’era un filo d’ironia nella sua voce, ma sempre assai bonaria.

Donna Filippa gli scoccò un’occhiata franca e, suo malgrado, le sfuggì un sorriso che illuminò un volto che voleva essere severo; era ancora una bella mora Donna Filippa, anche se non più giovane e alla settima gravidanza.

«Vostra moglie e i vostri figli, stanno bene?», domandò lei per cambiare discorso.

«Sì, grazie a Dio stanno tutti bene. Concetta ha avuto un inizio di polmonite in dicembre e il dottore è dovuto venire tutti i giorni a casa perché aveva la febbre alta; mi creda, Donna Filippa, non ho mai avuto tanta paura in vita mia come in quei mesi, ho pregato tanto il Signore che non me la portasse via, e lui nella sua misericordia mi ha ascoltato. Ora è guarita ed è tornata a occuparsi di tutto come sempre, non si risparmia mai la mia Concetta. Ma i figlioli li abbiamo cresciuti bene e, durante la malattia della madre, Antonio e il fratello più giovane hanno mandato avanti la famiglia mentre io ero a lavoro. Li dovevate vedere mentre si davano da fare in cucina, lavavano, stiravano e rassettavano così bene che non me l’immaginavo proprio».

«Avete dei bravi figli, compare Giuseppe, e fortunata chi se li sposa», sentenziò Donna Filippa, poi il suo sguardo si fece curiosamente indagatore, «Mi capita di vedere vostro figlio Antonio passare da queste parti, sembra un bravo giovane. Quanti anni ha?».

Sul viso di compare Giuseppe si dipinse un alone di imbarazzo: «Quasi diciotto, spero sia stato educato, quando vi incontra, intendo».

«È un bravo figlio», ripeté Donna Filippa senza cambiare atteggiamento e tenendo per sé il resto dei pensieri.

«Ho incontrato vostro marito qualche giorno fa e mi ha detto che è in arrivo un altro figlio, Matteo era preoccupato per la salute vostra».

Compare Giuseppe preferì spostare la conversazione su argomenti più neutrali, visto che coi giovani non si può mai essere sicuri, soprattutto quando i maschi cominciano a gironzolare come mosconi intorno a ragazze troppo belle.

Donna Filippa abbassò lo sguardo sul pancione da gravida nascosto dal cappotto: «Questa gravidanza è più pesante delle altre e il figlio in arrivo più turbolento e capriccioso, la levatrice dice che ha carattere e che sarà femmina, il che non mi rasserena; comunque ci vuole ancora un mese e vedremo di che pasta è fatta questa nuova figlia».

«Allora siete certa che sia una femmina. Matteo dice che è contento comunque, che abbia un figlio maschio o un’altra femmina per lui non fa differenza, avete già pensato a che nome darle?».

Donna Filippa abbozzò un sorriso che mitigò la severità del suo portamento austero.

«Fara», rispose.

Questa volta, compare Giuseppe non riuscì a trattenere lo stupore: «È un bel nome, non l’ho mai sentito, è straniero?».

«È un nome antico della Persia, non è tanto usato qui da noi, in Sicilia».

«Un nome non cattolico?».

Il compare era disorientato dall’audacia di Donna Filippa, ma lo dicevano tutti che lei era particolare, grande lavoratrice e severa e onesta, ma con quel suo carattere peculiare, la sua bellezza arcana, gli occhi che non dicevano mai tutto. E non aveva paura di niente, Donna Filippa, o così sembrava.

«Il tre aprile è Santa Fara, compare, non la conoscete voi questa santa? Fara vuol dire “felicità”, il mio augurio per l’ultima mia figlia, qualunque cosa accada nella sua vita e nella nostra».

Compare Giuseppe non seppe cosa rispondere, però era più tranquillo per l’esistenza della santa.

Donna Filippa, lo dicevano tutti che era anche un poco fattucchiera.

***

«Eccola qui la vostra nuova figlia, Donna Filippa! È piccolina ma tutta occhi e salute, ed è perfetta, bella sana e con tutte le sue cosine a posto; e poi guardate quanti capelli, chi ne aveva mai visti così tanti in un neonato! Che se non li perde è segno di grandi doni, ha qualcosa di speciale questa picciridda. Donna Filippa, mi sentite?».

Era stato un parto difficile. Donna Filippa non aveva voglia di ascoltare le solite chiacchiere da donnette e fece finta di non averla udita. Le importava poco di quanti capelli avesse la figliola, l’importante era che fosse sana, il tempo avrebbe svelato il resto.

La picciridda appena nata riempiva la stanza coi suoi vagiti.

Con qualche colpetto bene assestato sulle spalle e dopo averla messa a testa in giù, la levatrice le aveva fatto sputare il liquido amniotico che aveva nella bocca, dopodiché la neonata aveva cominciato a strillare a più non posso. L’esperienza decennale della levatrice le disse che quel pianto era segno inequivocabile di fame e del bisogno di contatto con la mamma.

«Attaccatela al seno, questa picciridda ha fame e, se non l’accontentate, non starà buona tanto presto».

Donna Filippa, i capelli umidicci per lo sforzo del parto incollati sulla faccia, tese le braccia verso il fagotto che si agitava dentro la coperta di lino ricamata e lo avvicinò al seno. Istintivamente, la nuova nata cercò il capezzolo e smise di strillare.

Nella stanza calò nuovamente la calma.

Oltre alla levatrice c’erano le sue sorelle, la zia, la prozia e, a giudicare dal chiacchiericcio fastidioso, tutte le donne del rione, impegnate a far commenti sulla sua nuova figlia, su quanto fosse bella, su chi assomigliasse, o a ripiegare fasce e pannolini: Donna Filippa non aveva voglia di averle intorno. Chiese uno straccio imbevuto d’acqua per pulire e rinfrescarsi il viso, non voleva che la piccola avvertisse la sofferenza del parto troppo lungo: la picciridda non ne aveva colpa.

“Sono abbastanza avanti negli anni per avere altri figli, il Signore è stato generoso”.

«Avete avvisato Matteo?».

«Sì, è andato Paolino, vedrai che sarà qui fra poco».

«Allora perché non andate a preparare da mangiare? Matteo avrà fame quando torna. E il vinello nuovo, prendete il vinello nuovo per festeggiare, dove sono i miei altri figli, devono conoscere la loro nuova sorellina».

Sorelle zie e prozie finalmente se ne andarono per accontentare le sue richieste, Donna Filippa tirò un respiro di sollievo: non le erano mai piaciute quelle smancerie. Rimase solo la levatrice che osservava la neonata e lei da un angolo della stanza.

«Grazie, Donna Elvira».

«Avete ancora bisogno di qualcosa?».

«No, grazie».

Fra le due donne rimaste finalmente sole, ci fu un passaggio di sguardi complici.

«Questa figlia ha preso tutto da voi, Donna Filippa, ha carattere e temperamento, saprà affrontare la vita con coraggio, indipendentemente da quel che le riserva. Ma voi tenetevi in salute, mi raccomando, riguardatevi più del solito e state a riposo tutto il tempo che vi serve, della casa si occuperanno le vostre figlie».

Donna Filippa provò una morsa alla pancia, dolorosa come un brutto presentimento, e si accorse di avere la fronte nuovamente umida, poi sentì i passi pesanti di Matteo che salivano le scale.

Era ancora bello, Matteo, nonostante gli anni, e ancora felice a ogni nuovo figlio, anche se i soldi non erano mai abbastanza, ma in fin dei conti alla famiglia non mancava niente.

Matteo si chinò a baciarla dopo averle passato la grossa mano coperta di calli sulla fronte, poi prese la picciridda in braccio, questa lo guardò con la testa ciondolante ma non ricominciò a strillare, lasciò andare invece un ruttino che sapeva di latte.

Matteo e Filippa risero.

«Questa picciridda assomiglia a te, Filippa, e guarda quanti capelli ha, è piccolina, ma pare grande assai! Oggi è il nove aprile del millenovecentotre e la giornata è grigia, benvenuta da tuo padre e da tua madre, Fara, benvenuta a casa».

Tratto da :

FARA E IL SUO CAPPELLO

Maria Lidia Petrulli

Editore: Ass. Culturale Il Foglio (1 gennaio 2009)

Collana: Il Foglio promo

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