Donne al voto da 70 anni
12 settembre 2016
di Mariangela Mombelli
Il suffragio femminile è una conquista relativamente recente in Italia,ma soprattutto sofferta che arriva dopo il ventennio fascista e la lotta di Liberazione. Proprio dalla partecipazione attiva di molte donne alla guerra partigiana partì la richiesta dell’estensione del diritto di voto. Nell'ottobre 1944 la Commissione per il voto alle donne dell'UDI (Unione Donne Italiane) e altre associazioni presentarono al governo Bonomi un documento nel quale sostenevano l'inevitabilità di concedere il suffragio universale; verso la fine del mese sorse poi il Comitato Pro Voto, volto a far conquistare il diritto di voto alle donne e fare in modo che esse potessero ottenere cariche importanti nelle amministrazioni pubbliche. Nel mese successivo l’ UDI e le altre organizzazioni commissionarono a Laura Lombardo Radice la scrittura di un opuscolo intitolato "Le donne italiane hanno diritto al voto". Successivamente le rappresentanti del Comitato Pro Voto consegnarono una petizione al Governo di Liberazione Nazionale nella quale chiedevano che il diritto di votare e di essere elette venisse esteso alle donne per le successive elezioni amministrative. Il 30 gennaio 1945 nella riunione del consiglio dei ministri, come ultimo argomento, si discusse quindi del voto alle donne. La questione fu esaminata con poca attenzione, ma la maggioranza dei partiti (a esclusione di liberali, azionisti e repubblicani) si dimostrò favorevole all'estensione. Venne quindi emanato il decreto legislativo che conferiva il diritto di voto alle italiane che avessero almeno 21 anni. Il decreto Bonomi tuttavia non faceva menzione dell'elettorato passivo: cioè della possibilità, per le donne, di essere votate. L'11 febbraio 1945 l'UDI inviò allora un telegramma per Bonomi nel quale si richiedeva di sancire anche l'eleggibilità delle donne. Dovette trascorrere poco più di un anno prima che esse venissero accontentate e potessero godere dell'eleggibilità. Le prime elezioni amministrative alle quali le donne furono chiamate a votare si svolsero in realtà a partire dal 10 marzo 1946 in 5 turni, mentre le prime elezioni politiche (si trattava del Referendum istituzionale monarchia-repubblica) si tennero il 2 giugno 1946. La nuova legge diede subito i suoi frutti: alcune donne vennero elette nelle amministrazioni locali e ben 21 furono deputate per l'assemblea costituente.La prima sindaca donna della storia della Repubblica fu Ninetta Bartoli, eletta a Borutta, un piccolo paese della provincia di Sassari. Ninetta, nata da una famiglia nobile, alla vita agiata dell’aristocrazia terriera sarda, preferì l’impegno civile e politico e, dopo una serie di esperienze in varie organizzazioni, si presentò alle elezioni che stravinse con un consenso che sfiorò l’ 89% dei voti. L’esperienza di Ninetta Bartoli ebbe un valore ancora maggiore se si pensa che l’affermazione dell’emancipazione femminile in Sardegna era ben lontana da quella raggiunta in altre parti di Italia. Nei suoi anni di governo realizzò opere importantissime come l’acquedotto con l’allaccio dell’acqua a tutte le case, le fognature, la centrale elettrica; ricostruì inoltre l’abbazia di S. Pietro di Sorres e portò a termine tante altre opere infrastrutturali e sociali. Fu realmente una sindaca che si dedicò completamente alle sorti del suo paese, investendo anche i suoi beni nella realizzazione di una casa di riposo e di una latteria sociale, realizzando, nel primo caso, la prima opera di assistenza per anziani e, nel secondo, un opera per lo sviluppo dell’economia di Borutta che viveva allora esclusivamente di pastorizia. Parimenti va ricordata la storia di Margherita Sanna, eletta nel 1946 sindaca di Orune. Margherita nacque nel 1904, terza di otto fratelli, conquistò a fatica in famiglia la possibilità di proseguire gli studi e riuscì a conseguire un diploma di ragioniera che le consentì di fare concorso per un posto di lavoro in banca: lo vinse, ma le venne preferito un uomo. Con la consapevolezza che è nell’ambito della questione femminile che bisognava lottare, Margherita si trasferì a Cagliari per ottienere il diploma magistrale e da insegnante tornò nella sua Barbagia dove si batté per dare un volto di progresso alla sua gente. Si adoperò da subito per potenziare l'educazione della donna-madre, indicando per essa linee guida per una presenza attiva e determinante anche fuori dalle mura domestiche. Animata da un'ansia di riscatto per la condizione femminile avviò numerose attività di conferenze, dibattiti, volontariato tra le donne e per le donne dell'area montana. Obbligata a iscriversi al Partito Nazionale Fascista per poter insegnare, non esitò a dichiararsi “afascista”. Nei primi giorni del ’43 venne arrestata con l’accusa di spionaggio a favore degli inglesi solo perché ne conosceva la lingua e fu trasferita nel carcere di Cagliari dove subì pesanti torture. Ne uscì grazie all’intercessione di un alto prelato alla vigilia della deportazione in un campo di concentramento. Tornata in libertà iniziò un’intensa attività di risveglio del suo popolo, il suo nome divenne un collettore di consenso di massa dei cittadini di Orune che la elessero sindaca per tre legislature. La politica di Margherita Sanna sostenne e alimentò un modello di società dove istruzione e politica avevano uguale preminenza. Sue priorità furono la riparazione delle scuole e la costruzione di un comodo lavatoio comunale perché le donne non si allontanassero con mille sacrifici tra le strade buie della montagna. La sua opera continuò con l'apertura di un ambulatorio pediatrico, di un asilo infantile, della refezione scolastica , la creazione di nuove opportunità di lavoro, come la prima Cooperativa di pastori della Sardegna. Ma a 70 anni da quel 1946 e da queste meravigliose esperienze di partecipazione femminile, i conti ancora non tornano: come recenti dati Istat indicano, nonostante l’aumento della presenza numerica di donne in luoghi apicali della politica e dell’economia il gap sociale tra donne e uomini non si colma . La questione della rappresentanza politica non può per nessuna ragione essere disgiunta da una riflessione complessiva sugli “avanzamenti” e sulle “retrocessioni” delle donne nei vari ambiti sociali. In ambito istituzionale rimangono tuttavia aperte due questioni cruciali: la mancanza di una vera leadership femminile e la crescente disaffezione verso i corpi intermedi dei partiti che si riverbera poi nell’astensionismo femminile. A 70 anni da quella conquista, perché le donne non sembrano più attratte dal voto, ovvero da un diritto e da una pratica politica, che sono stati per altro ottenuti dopo secoli di battaglie?
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