IN VIAGGIO PER LA LIBERTÀ
10 novembre 2016
di Mariangela Mombelli
Fatim Jawara aveva 19 anni, giocava a calcio. Era la portiera nella nazionale maggiore di calcio femminile del suo Paese, il Gambia, dove aveva debuttato recentemente in un’amichevole contro le ragazze scozzesi del Glasgow. Sognando i campi di calcio europei, Fatim il 27 ottobre scorso è scomparsa in mare, in uno degli infiniti naufragi dei barconi che tentano di attraversare il Mediterraneo. Fatim, nata in un villaggio del Gambia, terzo paese per numero di profughi, si era trasferita nella Capitale per giocare a calcio, tappa inevitabile di avvicinamento a un calcio migliore. Fin da ragazzina giocò nel ruolo di portiera: aveva solo 15 anni quando partecipò con il team under 17 alla Coppa del Mondo in Azerbaijan. Ma a Fatim stava stretto giocare nel suo Paese, in una situazione resa sempre più difficile dal governo autoritario di Yahya Jammeh che viola costantemente i diritti umani e tortura gli oppositori come riporta l’ultimo rapporto di Human Rights Watch. Non è un mistero che Jammeh abbia rapporti stretti con i leader di Boko Haram in Nigeria e che abbia trasformato il Gambia in una repubblica islamica di stampo wahabista, dove l’uso della lingua inglese è stato abolito per decreto e sostituito con l’arabo, dove ogni dissenso viene represso con il carcere. Secondo una ricostruzione del Guardian, Fatim aveva lasciato il Gambia a settembre attraversando il deserto del Sahara in direzione della Libia. La ragazza aveva poi trovato posto su un gommone che, ritrovatosi in mezzo alla tempesta di un mutamento delle condizioni del mare e del cielo, si è inabissato, trascinando con sé il sogno di Fatim, e di altre 97 persone, di raggiungere le nostre coste. Le note ufficiali delle agenzie riportano parole commosse del governo e della federazione del Gambia a proposito della morte di Fatim, ma non dicono che è proprio per fuggire da chi oggi la piange che Fatim è morta. La storia di Fatim ci ricorda quella della velocista somala Samia Yusuf Omar, che dopo aver partecipato alle Olimpiadi di Pechino nel 2008, dove si classificò ultima nella sua batteria, ma diventò simbolo per le donne musulmane in tutto il mondo. Poiché nel suo paese, dove gli integralisti prendono sempre più potere, la situazione politica non le permetteva di continuare ad allenarsi, decise di partire per un viaggio della speranza, con il sogno di partecipare alle Olimpiadi di Londra 2012, ma i suoi sogni e la sua vita si infransero in quel cimitero a cielo aperto che è il Mediterraneo. La storia di Samia è stata raccontata nel bel libro di Giuseppe Catozzella “Non dirmi che hai paura “ (Feltrinelli). Fatim e Samia, due donne, due storie divenute note, simbolo e memoria di tutte le donne, di cui non sappiamo nulla, che hanno perso la vita nel disperato tentativo di raggiungere un mondo migliore.
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