SANDRINE BAKAYOKO, VITTIMA DELLE INDIFFERENZE
19 gennaio 2017
di Mariangela Mombelli
Sandrine Bakayoko era una ragazza ivoriana di 25 anni, arrivata in Italia nel settembre 2016, in attesa dell’esito della sua richiesta di asilo. E’ morta la mattina del 2 gennaio scorso nel centro di prima accoglienza di Cona per una trombosi polmonare. “Sandrine stava male da giorni – dice il marito - tossiva e aveva la febbre”. I soccorsi sono stati chiamati in ritardo, quando sono arrivati, per Sandrine non c’era più nulla da fare. L’episodio ha scatenato una protesta dei migranti ospitati nella ex base militare di Cona, un centinaio dei quali è stato poi trasferito all’hub di Bologna. E’ stata più la rivolta che la morte di Sandrine in sé ad attirare l’attenzione mediatica, subito cavalcata dai soliti noti (Lega, Forza Italia, Forza Nuova…) per chiedere misure ancora più restrittive nei confronti dei richiedenti asilo. Il dito invece va puntato ancora una volta contro il sistema di accoglienza del nostro Paese basato sulla logica dell’emergenza, che tiene conto solo dei numeri e non delle condizioni di vita delle persone. Le strutture di accoglienza, spesso ex aree militari cintate da filo spinato, sono gestite da grosse cooperative che si accaparrano numerosi appalti a discapito della qualità dei servizi offerti. Il centro di Cona, o meglio di Conetta, frazione di Cona, da tempo era al centro di denunce da parte dei migranti per la mancanza di assistenza sanitaria, cibo insufficiente e scadente, isolamento, carenza di servizi igienici e docce, assenza di libertà nelle scelte quotidiane. Le pessime condizioni della struttura, che al momento della morte di Sandrine ospitava 1.300 persone, 800 in più di quelle che avrebbe potuto ospitare, erano state anche oggetto di un’interrogazione parlamentare di SEL. Ai più è forse sfuggito che a gestire Cona è la cooperativa Ecofficina, gigante operante da tempo nel Veneto nel campo dei rifiuti, che ha in appalto altre due strutture e che è attualmente al centro di tre indagini delle procure di Rovigo e Padova per truffa, falso e maltrattamenti. Mafia Capitale docet. I centri cosiddetti di “accoglienza” continuano a essere luoghi dove i migranti vengono segregati in attesa di una risposta (spesso negativa) alla loro richiesta di asilo. Luoghi dove si muore per mancanza di assistenza medica o per disperazione: con Sandrine vogliamo ricordare Simon, trentenne del Ghana morto il 30 dicembre a S. Vittore (FR), Antonio, angolano di 28 anni che si è impiccato nel bagno del centro di via F.lli Zoia a Milano il 7 dicembre e il ragazzo egiziano di cui nemmeno conosciamo il nome morto a Roccasecca (FR). Servono politiche di microaccoglienza diffusa che valorizzino le esperienze locali e autorganizzate che abbiano come fine ultimo l’inclusione sociale e non il controllo e la reclusione di donne e uomini, che con ogni probabilità domani verranno espulse, grazie a una politica cieca e sorda verso le ragioni che le/li hanno messi in cammino, per terra o per mare in un nuovo Esodo che, come quello biblico, è emblema e simbolo di un popolo che anela alla libertà.
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