LA CHIAVE DELL’ANIMA
19 novembre 2018
di Sara De Rosa
Non avrei ceduto per nessun motivo al mondo, avevo le lacrime che volevano a tutti i costi smascherarmi, ma dovevo assolutamente resistere.
Riunione interna urgente:” da lunedì sarai trasferita al Centro Elaborazione Dati (una digitatrice in pratica questo lo pensavo io), non so che dire sono decisioni dall’alto”.
Lo guardavo, ceravo un aiuto da parte sua. Mi guardava serio ma impassibile, come se mi avesse detto la cosa più normale di questo mondo.
“No non voglio andare”, le uniche parole stupide che dissi, un filo di voce che arrivava direttamente dall’anima…non riuscii nemmeno a terminare il caffè anzi l’istinto di gettarglielo addosso era irrefrenabile.
Le brutte notizie, da noi, venivano date sempre il venerdì per il lunedì, così la dipendente aveva ben due giorni per metabolizzare il colpo e presentarsi felice come non mai il lunedì mattina.
In fondo era giusto essere punite e declassate; ero una donna, avevo avuto la pessima idea di avere due bimbi a distanza di un anno e mezzo, ora a cosa potevo mai servire per l’azienda?! Ero stata assunta, implorandomi, a ventitre anni, giovane e con tanta voglia di imparare e di fare; ho passato i primi anni facendo la classica gavetta con uno stipendio ridicolo. Lavoravo senza sosta, con un entusiasmo incredibile, anche se duro all’inizio farsi strada, restare al proprio posto umilmente.
Poi dopo dieci anni di lavoro avevo avuto la pessima idea di voler avere una famiglia, all’inizio sembrava un evento come un altro…invece no e lo capivo solo ora.
Il week end passò, il tempo per fortuna passa sempre , ma non portò con se il male e l’angoscia questa volta. La mia ferma intenzione era quella di dimettermi il prima possibile, non avrei retto alla pressione psicologica.
Avrei trovato un altro lavoro anche se le agenzie di lavoro e le aziende non nascondevano la loro perplessità ai colloqui. Erano abbastanza espliciti nel cercare, con parole favolose, di farti capire che non era il caso nemmeno di essersi presentati. Lunedì mattina entrai in ufficio, il nuovo, con un sorriso idiota stampato in faccia che praticamente ricordo ancora adesso, ero confusa e stordita. Soprattutto avevo una feroce rabbia dentro, un senso d’ingiustizia e impotenza che già mi divorava. ero stata declassata brutalmente, umiliata, dall’alto hanno sempre la risposta pronta, ovvio vince chi comanda.
Facevo passare le mattinate lavorando ma guardando sempre l’orologio, l’importante che arrivasse l’ora in cui sarei uscita di lì.
La mattina non mi truccavo nemmeno, non ero più al pubblico, quindi non serviva a niente, piangevo durante tutto il tragitto perché non potevo farmi vedere dai bimbi in questo stato pietoso, quindi a casa ero sempre (per quanto possibile) sorridente.
Inoltre sapevo bene che loro, dall’altra parte, dall’alto, speravano proprio in questo e ci contavano. Io non avrei retto alla pressione e mi sarei dimessa volontariamente, loro non potevano farlo quindi perché non giocare d’astuzia?
Poi una sera, messi a letto i miei due piccoli, mi soffermai a guardarli: bellissimi, avevano me come punto di riferimento, contavano su di me e non avevano colpa della cattiveria che purtroppo circonda questa società.
Così capii in un attimo, mi guardai attentamente allo specchio, non me ne sarei andata, anzi avrei ricominciato da capo, come se fossi ancora alle prime armi, mi sarei rimboccata le maniche, avrei sopportato l’insopportabile.
Glielo dovevo, come mamma e donna che non si lascia distruggere da una Direzione e da una Società sessista e maschilista.
Sono passati lentamente tre anni in quel ruolo, con una coordinatrice assolutamente poco incline a capire la figura di una donna che è anche mamma, quindi non sono mancati gli scontri, anche pesanti. Non c’è peggior soggetto che una donna che non ha il minimo senso materno. Il mobbing è un termine molto vario ma allo stesso tempo una fotografia nitida di questo millennio, un fenomeno terribile e soprattutto difficile da combattere; perché è un avversario invisibile che ti tormenta l’animo e te lo distrugge piano piano e tu sei lì, inerme, non sapendo bene cosa fare.
Ovviamente dimentichiamoci la solidarietà femminile in questi casi, la paura di mettersi contro il proprio Datore di Lavoro non si riesce a mettere da parte.
Così mi trovavo sola, con un Avvocato che scuoteva la testa e mi ripeteva che senza testimoni non avrei vinto, non mi avrebbe ascoltata nessuno.
Quindi lasciai perdere. Oggi ce l’ho fatta, finalmente sono stata trasferita al mio vecchio incarico, in un ambiente molto sereno e sto davvero bene; anche perché ho finalmente trovato molta solidarietà e comprensione, essendo tutte mamme.
E ho capito che va cercata la Chiave della propria Anima, che da qualche parte è nascosta, va trovata e con quella aprire uno scenario vivo e nitido: quello delle proprie sensazioni, emozioni (anche di rabbia, rancore) e vanno affrontate. Guardando avanti e mai indietro. E non è tutto! Nel frattempo ho avuto un terzo e fantastico bimbo, coronando così il sogno di una famiglia numerosa che è tutta la mia vita. Per l’ennesima volta mi sono rimboccata le maniche e sono rientrata a lavorare con il sorriso sulle labbra, faticando ma felice di farlo;
Non li perdonerò mai e poi mai per quello che hanno fatto, perché penso di non averlo meritato affatto ma sono orgogliosa di me stessa.
Orgogliosa di poter andare in giro a testa alta e sfogarmi scrivendo, parlando con le donne, per convincerle che queste cose non devono accadere.
Non dobbiamo e non possiamo scegliere tra famiglia e lavoro, non è giusto.
Diamo un pessimo esempio ai nostri figli, che saranno gli adulti del domani e che dovrebbero trovare una società più giusta ed equa.
Io ho tre figli maschi, e cerco sempre di parlare loro di giustizia, di valori e credo abbiano un esempio di donna che rispecchia un po’ quello che ci si aspetta da questa società .
Non fatevi distruggere Donne ma combattete per la vostra dignità e splendete sempre, il viaggio è lungo ma ne vale la pena.
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News » POTERE ALLE DONNE di Sara De Rosa | lunedì 19 novembre 2018
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