ANNI ‘90: IL VERO SBALLO DELL’ANALOGICO

18 ottobre 2018

di Clelia Moscariello 
 
Sono cresciuta negli anni Novanta nei miei jeans consumati, ascoltando per rispetto la musica degli anni ’70 dei maestri cantautori. Appartengo ad una generazione analogica che, dentro, non si convertirà mai al digitale.
Ho ammirato il punk, vissuto il grunge, “pogato” con mio fratello le canzoni dei Nirvana, bevuto “qualcosa di più forte” alle feste, questo ero il nostro unico “sballo”. Per i ragazzi, o almeno la maggior parte, del liceo Vittorio Emanuele II a Napoli, la trasgressione - negli anni Novanta - era poter fare quel “qualcosa in più”, che poteva essere una sigaretta, un bacio con il fidanzato sotto il portone, un “filone” a scuola: questo per noi era il vero “sballo.”

Il nostro sballo, era violare una regola - in quegli anni - una semplice regola; era proprio quel “qualcosa in più” e non mi convertirò, mai, dicevo, per questo motivo, al digitale, perché la mia anima non sa farlo.

Non comprenderò mai l’esigenza di bloccare le persone che conosci su un telefono, come se non fossero mai esistite, come nel film  di Michel Gondry. “Se mi lasci, ti cancello”.

Sono cresciuta con il mio “chiodo”,  nero, esausto, da indossare in tutte le stagioni.

Sono andata a tutte le feste dei miei compagni di classe, a casa, trasgredendo solo sull’orario e, vi assicuro, che ci divertivamo davvero tanto.

Quando un ragazzo voleva fidanzarsi negli anni Novanta - in quegli anni immaturi, diventati ora un cult - con noi ragazze di quegli anni, ci chiedeva <<Ti vuoi mettere con me?>>.

Ergo, io gioco a fare la digitale, ma non lo sono e non potrò mai saperlo cosa significa, essere digitale, oggi.

Non saprò mai davvero cosa significa idealizzare, perché sono andata a scuola sotto la pioggia (e lì dovevamo indossare sempre o spesso un sorriso, come forma di rispetto per l’autorità) e mostrarci interessati alla lezione, anche se non vedevamo l’ora che suonasse il campanello della ricreazione, per uscire fuori.

Sì, forse non sarò mai un vuoto a perdere; non saprò mai cosa significa togliere il saluto o bloccare le persone che conosci già, su quello che è semplicemente un mezzo, come fa il correttore automatico,  perché li ho vissuti gli anni Novanta, cancellando con la gomma le scritte, a matita, perché a penna non si poteva più cancellare e le scritte erano indelebili negli anni Novanta.

Sì, erano indelebili, proprio così.

Era troppo tardi.

E lo era nei miei jeans consumati, sempre gli stessi.

 

Tratto da: http://www.psicobaci.com/diario/il-vero-sballo-anni-novanta/

 

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