29 FEBBRAIO O 1 MARZO?
04 marzo 2017
di Giuseppe Musmarra
Il 29 febbraio spesso non esiste, eppure il 29 febbraio è morto mio padre, e dopo vari anni, nello stesso strano giorno, mio nonno. Lo stesso giorno inesistente, o diciamo meglio intermittente, rende difficile e lievemente dissociata la celebrazione. Che faccio, li ricordo dentro di me il 28 febbraio o il primo marzo? Si dirà tanto non contano le date: ma mica è vero. È una cazzata. Le date contano eccome. Le date sono fondamentali. Esattamente così come contano i luoghi. Tanti dicono - in una visione un po' new age della vita - dicono al cimitero non serve andare, tanto le persone restano dentro di noi eccetera, dicono io c'ho il mio dialogo personale con Dio (e va pure bene, ammesso che lui lo sappia), eppoi inevitabilmente arrivano al punto: tanto, basta il pensiero. Basta il pensiero? Altra cazzata. Non basta affatto il pensiero verso persone che hanno riempito la loro vita, nei tuoi confronti, di azioni. Non dico di trasferirvicisi (non nell'immediato almeno), però ogni tanto andare al cimitero serve eccome. Serve far pulire la tomba, portare dei fiori, serve fare cose concrete, compiere atti concreti, un filo più scomodi che restarsene in casa mettendosi comodamente in contatto sul divano a costo zero col chakra universale biodinamico ogm free dei defunti. Se a Natale tuo figlio giustamente vuole il regalo e tu gli dici: basta il pensiero, lo stesso figlio dirà (o almeno penserà, nel mio caso il primo lo penserebbe il secondo certamente lo direbbe): papà altro che pensiero, fottiti tu e il tuo pensiero, io voglio il regalo. Ecco basterebbe trattare la morte come trattiamo la vita. Invece, compagna preziosa per millenni delle generazioni passate (pensate ai classici greci, alla stessa Magna Grecia: deprivandoli del concetto di morte, cosa ne resterebbe?), è stata via via spostata negli ultimi decenni nel recinto delle cose sconvenienti, un po' cheap, perfino il concetto di malattia e di sofferenza è innominabile, nulla deve intralciare la marcia trionfale, rumorosa e un po' demente della vita di superficie. La separazione vita/morte è una brutta forma di apartheid. Perché impoverisce la vita stessa. Conosco amici, persone tra l'altro stimabili e abbienti, capaci di accapigliarsi ore e ore per poche decine di euro. Lo farebbero egualmente se si confrontassero, almeno una volta l'anno, con il concetto di morte? Mi capita di scrivere qualche poesia. A volte mi dicono bella questa poesia (ah bene grazie dico, cosa vuoi dire..), altre volte vorrebbero dire brutta questa poesia (ma non lo fanno e io lo apprezzo) altre volte, trovandosi un po' a disagio perché magari è una poesia triste, prendono il discorso alla lontana, ci girano attorno e poi chiedono, tra l'altro credo con affetto: ma stai bene? Beh per la verità spererei di si, è un po' che non faccio le analisi ma ho un fondo di buonumore che mi accompagna e direi in un certo senso mi perseguita. Tutto questo per dire che preferisco celebrare il primo marzo.
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News » RIFLESSIONI DI VITA | sabato 04 marzo 2017
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